di Francesco Nicolli
A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, i governi di molti paesi industrializzati hanno cercato – grazie a un ampio mix di politiche pubbliche – di conciliare crescita economica e ambiente, senza mai chiedersi veramente fino a che punto i confini ecologici dell’ecosistema terrestre possano rappresentare un limite per lo sviluppo umano.
Ed è proprio di questa tematica che si occupa il recente report: “Reflecting on green growth – Creating a resilient economy within environmental limits”, svolto congiuntamente dall’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) e da un gruppo di ricercatori del consorzio interuniversitario Seeds.
Se da un lato, negli ultimi cinquant’anni, il problema dei limiti fisici allo sviluppo è stato affrontato dall’accademia, da vari meeting internazionali e da un diffuso ricorso (soprattutto nei Paesi di area Ocse) a sempre più stringenti legislazioni ambientali, dall’altro lato è ormai chiaro come il modello economico preponderante dal secondo dopoguerra a oggi – basato sull’idea che la perdita di capitale naturale possa essere compensata da un aumento di tecnologia e conoscenza – non sia compatibile con le sfide del nuovo millennio.
Non stupisce, di conseguenza, che venga esercitata sempre più pressione sui governi europei per ridurre l’enfasi sulla crescita economica, al fine di concentrarsi invece su modelli di sviluppo che mirino a promuovere il benessere collettivo tramite tassi di crescita del Pil nulli o molto bassi – la cosiddetta: “decrescita felice”.
Tuttavia, per quanto l’idea di spostare l’enfasi dal produrre “di più” al produrre “meglio” possa essere affascinante, il report dell’Eea evidenzia come questo approccio presenti diverse criticità. Per prima cosa, i livelli di occupazione e le entrate fiscali sono strettamente legati alla crescita del Pil: se il Pil si contrae diventa più difficile finanziare sanità, istruzione e giustizia sociale. Bassi tassi di crescita economica renderebbero inoltre molto difficile finanziare il debito pubblico o gli investimenti necessari per realizzare una transizione ecologica. In altri termini, il fatto che la crescita del Pil sia stata dannosa per l’ambiente, non significa necessariamente che un calo del Pil sarebbe vantaggioso.
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