di Beta
Scettico sulla possibilità di un allargamento dell’Ue ai Balcani occidentali in un prossimo futuro, Dušan Reljić, analista politico ed esperto di Balcani, spiega che non si tratta solo di riforme, ma soprattutto di un divario sociale ed economico, sempre più ampio, tra l’Ue e i paesi dei Balcani occidentali. Reljić mette in dubbio anche l’effettiva volontà dell’Unione di accettare al suo interno i nuovi paesi balcanici.
“Tutti i paesi [dei Balcani occidentali], ad eccezione dell’Albania, sono ancora coinvolti in diatribe irrisolte riguardanti i confini. Anche se riuscissero ad attuare le riforme necessarie, la questione dei confini resterebbe un ostacolo. Ancora più preoccupante è il fatto che questi paesi si allontanano sempre più dall’UE dal punto di vista sociale ed economico. Questa è una delle conseguenze dei rapporti economici che l’Unione intrattiene con i Balcani”, spiega Reljić in una recente intervista al quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung.
“Inoltre – denuncia l’analista – non vi è alcuna sincera volontà da parte dell’UE di accettare i Balcani occidentali al suo interno. Berlino e Parigi hanno messo in chiaro che, prima di qualsiasi nuovo allargamento, occorre abolire il principio di voto all’unanimità nel Consiglio dell’Ue. Questo però non accadrà, i piccoli paesi non rinunceranno al proprio potere di veto”.
Per Reljić, il Processo di Berlino, che avrebbe dovuto accelerare il percorso di avvicinamento dei Balcani occidentali all’Ue, poggia su presupposti sbagliati, ossia sull’“idea che la cooperazione di sei paesi poveri possa stimolare la crescita”.
“I paesi dei Balcani occidentali sono già saldamente integrati nel mercato europeo, si sono aperti e sono stati risucchiati da questo mercato, ma solo come paesi a basso reddito senza prospettive di crescita”, spiega Reljić, sottolineando un’altra criticità.
“A differenza dei loro vicini già membri dell’Ue – come Croazia, Romania, Bulgaria e Grecia – i Balcani occidentali non ricevono da Bruxelles risorse finanziarie significative, necessarie per la realizzazione delle infrastrutture. I paesi dei Balcani occidentali ricevono 500 euro pro capite all’anno, e i loro vicini 5300 euro. Questa dinamica inevitabilmente comporta delle conseguenze”.
Reljić sottolinea che negli ultimi anni i Balcani occidentali hanno accumulato un deficit commerciale di quasi 100 miliardi di euro.
“Qui la produzione è principalmente concentrata sui semilavorati, che poi vengono esportati nell’Ue e inseriti nella catena di produzione di nuovi beni. I salari sono bassi e la situazione non accenna a migliorare. Ecco perché i cittadini dei Balcani occidentali emigrano in massa verso l’Ue, e questo fenomeno coinvolge soprattutto i lavoratori qualificati. Oggi anno 250mila persone lasciano la regione”.
L’emorragia di popolazione – sottolinea l’analista – porta alla scomparsa della classe media, facilitando così i regimi autocratici, come quello del presidente serbo Aleksandar Vučić e quello del premier albanese Edi Rama.
“In parole povere, manca una massa critica pronta a combattere per la democrazia e lo stato di diritto”, afferma Reljić, evidenziando come le società dei Balcani occidentali siano sempre più polarizzate tra una ristretta cerchia di ricchi, in parte legati alla criminalità organizzata, e un’ampia fascia di poveri.
Quanto alle ingerenze russe nei Balcani occidentali, per Reljić si tende a “gonfiare” la vicenda perché conviene a tutti, anche se in realtà, come precisa l’analista, non solo l’intera regione è circondata da stati membri dell’Ue e della Nato, ma alcuni paesi dei Balcani occidentali hanno già aderito all’Alleanza atlantica.
“Questa narrazione permette alla Russia di presentarsi come una grande potenza, anche se la sua influenza economica nella regione è molto limitata. La Serbia invece sta giocando la carta russa per ottenere determinate concessioni dall’Occidente. E quest’ultimo sta sfruttando il discorso [focalizzato sull’ingerenza russa] per rimanere presente nei Balcani occidentali senza integrarli”.
Secondo Reljić, quello di cui i Balcani occidentali hanno davvero bisogno è un forte sostegno finanziario di Bruxelles, simile a quello fornito alla Bulgaria e alla Romania durante i negoziati di adesione, sostegno che ha permesso a questi due paesi di uscire dalla stagnazione.
“Tuttavia – spiega l’analista – il cancelliere Scholz e i suoi colleghi non osano fare questo passo perché comporta un prezzo politico troppo alto. Quanto al piano di crescita [per i Balcani occidentali] – ideato nel 2023 dalla presidente della Commissione europea – è una goccia nel mare. Parliamo di due miliardi di euro in sovvenzioni e quattro miliardi in prestiti”.
“I paesi dei Balcani occidentali possono ottenere simili prestiti alle stesse condizioni anche dalla Cina e dai paesi arabi, e due miliardi in sovvenzioni, divisi tra tutti e sei i paesi, sono pochissimi. La quota destinata alla Serbia corrisponde grossomodo al bilancio annuale di una delle municipalità di Belgrado”, conclude Reljić.
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