Anno IX - Numero 12
La storia insegna, ma non ha scolari.
Antonio Gramsci

martedì 4 dicembre 2018

Duecento giorni facendo danni per l’economia sono troppi

I dati Istat sul terzo trimestre certificano che il Pil italiano scende per il calo di consumi e investimenti causato dal peggioramento delle aspettative, mentre l’export ha ripreso a tirare. È ora che il governo smetta di fare danni e dia invece una mano, correggendo la manovra in senso più prudente

di Francesco Daveri

Gli orribili primi duecento giorni…
Tre mesi fa, dopo i primi cento giorni del governo del cambiamento scrissi su questo sito un pezzo che era già tutto contenuto nel suo titolo: cento giorni senza far niente per l’economia sono troppi. Osservavo che con segnali di rallentamento dell’economia evidenti già a inizio anno i vice premier e i loro “consiglieri economici” avevano preferito baloccarsi con chiacchiere estive da social network sull’uscita dall’euro e altre idee futuribili piuttosto che provare a riflettere su come sostenere l’economia in modo pratico senza scassare i conti e far ripartire lo spread. Il pezzo coglieva necessariamente solo una parte delle conseguenze del governo attuale per l’economia. D’altronde dopo 100 giorni come giudicare già un governo che arrivava dopo – si diceva – decenni di malgoverno?

Ora di giorni ne sono passati duecento e qualcosa di più si è visto.
In particolare è diventato più chiaro che il nuovo governo non si è limitato a non fare nulla ma ha anche già fatto molti danni. Ci sarà tempo per valutare con attenzione gli effetti sul mercato del lavoro del cosiddetto “decreto dignità” (per non rassegnarsi alla rifondazione del vocabolario effettuata in questi mesi bisogna sempre aggiungere un “cosiddetto” prima di riportare la denominazione delle politiche in via di attuazione) così come dell’ottovolante dello spread di queste settimane sul costo del credito per le aziende e sul costo e sulla disponibilità di mutui per le famiglie.

…hanno già lasciato un segno tangibile sull’economia

Ma l’economia intanto sta già mandando segnali chiari e forti. I dati del terzo trimestre di quest’anno dicono che il Pil è leggermente diminuito rispetto al trimestre precedente. Quando era uscita la stima preliminare dell’Istat sul terzo trimestre il premier Giuseppe Conte si era affrettato a precisare che l’Italia stava rallentando “ma non per colpa nostra”. È l’Europa che rallenta, diceva l’autoproclamato “avvocato difensore del popolo”. I dati definitivi del terzo trimestre raccontano una storia differente. Il calo del Pil viene dal calo della domanda interna privata, cioè dal calo degli investimenti e dal calo dei consumi, sia di quelli durevoli che di quelli non durevoli, mentre la componente estera è tornata a crescere (+1 per cento circa rispetto al trimestre precedente, dopo due trimestri molto negativi).

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