Anno IX - Numero 12
La storia insegna, ma non ha scolari.
Antonio Gramsci

martedì 2 ottobre 2018

Riorientare lo sguardo: di lato

La visione ottimistica di un’Italia uscita dalla crisi proposta dal Governo uscente non ha convinto neanche gli elettori del suo principale partito di riferimento. Le scelte economiche e sociali adottate negli ultimi cinque anni hanno approfondito e moltiplicato le distanze e le diseguaglianze a tal punto che siamo costretti a festeggiare una partecipazione al voto del 73%, seppure non abbia fermato la sua tendenza decrescente. Eppure, il 27% di coloro che hanno scelto di non votare, se potesse contare, rappresenterebbe il secondo partito del paese

di Grazia Naletto

Una società profondamente diseguale, divisa e impoverita, individualista e atomizzata che pensa di vivere in un paese in pieno declino economico e sociale; la sfiducia ormai radicata nella istituzioni e nella classe politica, ma anche nei cosiddetti “corpi intermedi”; la semplificazione e la polarizzazione del dibattito pubblico: sono ciò che, con una nettezza superiore a quella attesa, riflette l’esito del voto del 4 marzo, spaccando a metà l’Italia in modo molto più articolato di quanto non emerga dalle mappe bicolore elettorali.

La visione ottimistica di un’Italia uscita dalla crisi proposta dal Governo uscente non ha convinto neanche gli elettori del suo principale partito di riferimento. Le scelte economiche e sociali adottate negli ultimi cinque anni hanno approfondito e moltiplicato le distanze e le diseguaglianze a tal punto che siamo costretti a festeggiare una partecipazione al voto del 73%, seppure non abbia fermato la sua tendenza decrescente. Eppure, il 27% di coloro che hanno scelto di non votare, se potesse contare, rappresenterebbe il secondo partito del paese.

Almeno una parte di questo 27%, insieme al voto liquido che fluttua rapidamente da un partito a un altro (il 40% di consenso al rottamatore Renzi risale solo a quattro anni fa), lasciano aperti degli spazi all’azione politica che voglia interpretare e praticare da sinistra la forte domanda di cambiamento presente nel Belpaese.

La campagna elettorale è stata giocata tutta o quasi sul posizionamento dei tre maggiori partiti in materia di lavoro e reddito, tasse, sicurezza e immigrazione, più a colpi di slogan, che sulla base di un confronto dialettico di merito sui diversi programmi elettorali.

Scarsa l’attenzione per il modello di welfare del futuro, con effimere eccezioni dedicate all’istruzione e alla sanità: il dibattito sulla proposta sul reddito del M5S lo ha sfiorato marginalmente. Grandi assenti la questione di genere (tematizzata solo da poche candidate), le politiche abitative, quelle culturali e soprattutto l’ambiente (il che, in un paese devastato da politiche urbanistiche irresponsabili e dalle catastrofi naturali, è un paradosso).

La politica estera e per la difesa e, persino, la questione dell’Europa sono rimaste sullo sfondo e non sembrano aver pesato molto sui risultati elettorali: del resto sarebbe stato imbarazzante per i principali attori in gioco (tranne che per la lista +Europa).

Il Pd al Governo, pur avendo strappato qualche margine sulla flessibilità di bilancio, ha sostanzialmente accettato i dogmi imposti da Bruxelles (politiche di austerità, pareggio di bilancio, contenimento della spesa pubblica, riforme strutturali su lavoro e pensioni), ma ha aumentato in questi anni la spesa militare e ha bloccato il dimezzamento del programma di acquisto degli F35.

La Lega Nord, l’interprete più convinta dell’euroscetticismo italiano, ha preferito puntare tutto sulla flat tax e sulla sua carta più vincente: la retorica della paura e della competizione tra cittadini italiani e stranieri sul lavoro e nel welfare, che ha aperto il varco a una xenofobia e a un razzismo diffusi e spudorati come mai prima (ed è qui che è convogliata parte dell’onda nera tanto temuta). Questa carta è risultata più vincente rispetto al passato anche grazie a una gestione delle politiche migratorie nazionali ed europee incapaci di fare i conti con una globalizzazione che oltre a spostare merci e capitali, approfondendo le diseguaglianze, alimenta anche i movimenti delle persone. A livello nazionale, lo slittamento sicuritario dell’ultimo anno, fortemente voluto dal nuovo Ministro dell’Interno, anziché erodere il consenso alla Lega Nord, l’ha munito di nuova linfa.

Il Movimento 5 Stelle, impegnato a trasformarsi da movimento di protesta in partito di governo, ha preferito glissare sul cambiamento della propria linea politica sull’Europa, non ricordare troppo spesso la sua proposta di tagliare le spese militari e mantenere una posizione oscillante e ambigua sulla questione migratoria.

Incasellare l’esito del voto in modo categorico non è semplice né, forse, è l’esigenza prioritaria.