Anno IX - Numero 12
La storia insegna, ma non ha scolari.
Antonio Gramsci

mercoledì 3 maggio 2017

L'economia di Macron tra cambiamento e continuità

Emmanuel Macron potrebbe essere il prossimo presidente francese. In economia è un riformatore che vuole porre le basi per un nuovo modello di crescita, giusta e sostenibile. Un programma non facile da attuare, tanto più senza maggioranza in parlamento.

di Andrea Goldstein

Brexit ed elezione di Donald Trump consigliano di non fidarsi troppo dei sondaggi, ma è probabile che Emmanuel Macron sarà il prossimo inquilino dell’Eliseo, un “progressista” e “candidato del lavoro e delle classi medie e popolari” il cui programma economico è destinato a incidere anche nel resto d’Europa e in Italia in particolare. Le proposte dell’ex ministro dell’Economia sono molto più liberali rispetto al programma protezionista di Marine Le Pen, senza arrivare ai toni thatcheriani di François Fillon. Vi si ritrovano i toni socialdemocratici di François Hollande e Manuel Valls, ma con strappi su fiscalità, politica del lavoro e soprattutto concertazione.
La diagnosi di Macron sull’Europa non si discosta da quella del centro-sinistra: l’austerità ha avuto effetti pro-ciclici, prolungando la recessione, lasciando in eredità un deficit di investimenti e infrastrutture. Se Parigi vuole riconquistare la parità politica con Berlino, sono fondamentali rigore fiscale e riforme strutturali: solo una Germania sicura della serietà delle intenzioni francesi potrà discutere di un vero budget e di un ministro delle Finanze dell’Eurozona. La filosofia è integrazione basata su responsabilità e solidarietà.
La Francia non ha vissuto la lunga recessione dell’Italia, ma la crescita del Pil negli ultimi anni è stata inferiore all’Eurozona e le diseguaglianze di reddito e di opportunità sono aumentate. Macron si prefigge di porre le basi per un nuovo modello di crescita, giusta e sostenibile (anche dal punto di vista macroeconomico) perché ecologica e al servizio della mobilità sociale. Da un lato, quindi, risparmi per 60 miliardi, di cui 25 nelle politiche sociali, 10 nelle spese degli enti locali e il resto grazie a “una modalità di governo totalmente nuova” (un mode de gouvernance totalement nouveau). Dall’altro, investimenti da 50 miliardi nella formazione (15), nella transizione energetica ed ecologica (15) e in altre priorità che vanno dalla sanità al digitale, dall’agricoltura ai trasporti.

Le misure annunciate
Per ridurre al 7 per cento la disoccupazione nel 2022, dal 10 per cento nel 2016, il candidato di En Marche! conferma la sua fiducia nel Jobs act transalpino, la legge El Khomri del 2016. Il miglioramento della congiuntura può creare 550mila posti di lavoro, le misure strutturali 750mila. Va resa più flessibile l’applicazione delle 35 ore, introdotto un massimale sulle indennità di licenziamento e favorite le negoziazioni decentralizzate (a livello di settore e di impresa), lasciando al legislatore solo la definizione dei principi (ma negando che le parti sociali possano essere portatrici dell’interesse generale).
Accanto alla maggiore disponibilità di spesa per le politiche attive, Macron propone di rendere obbligatorio il “bilancio delle competenze” e di sospendere i sussidi a chi rifiuta due proposte di assunzione consecutive. L’Unedic (Union nationale interprofessionnelle pour l’emploi dans l’industrie et le commerce) – l’ente paritetico (fortemente indebitato) che gestisce l’assurance-chômage (assicurazione contro la disoccupazione) – passerà sotto controllo pubblico, sarà finanziato dalla fiscalità generale e diventerà universale. Le allocations (sussidi) verranno estese ai salariati che lasciano volontariamente il proprio posto dopo almeno cinque anni e a lavoratori autonomi e liberi professionisti.
Sul fronte della competitività, la priorità è ridurre di 20 miliardi gli oneri tributari, con un’equa distribuzione tra imprese e famiglie. Previsti anche l’esonero completo del salario minimo (Smic) e la trasformazione parziale del Cice (Crédit d’impôt compétitivité emploi), rendendo permanente la riduzione degli oneri sociali ed estendendo la misura a piccole imprese, autonomi e terzo settore. Per quanto riguarda la tassazione d’impresa, l’aliquota verrà portata da 33,3 a 25 per cento, in linea con la media europea. L’Isf (Impôt sur la fortune) diventerà un’imposta sulle sole rendite immobiliari.
In tempi grami per i globalisti, Macron si oppone al protezionismo, anche se non si pronuncia apertamente sul Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership). In ogni caso, propone azioni specifiche per vigilare sul rispetto degli interessi europei, tra cui un Buy European Act che riservi gli appalti alle imprese che realizzano almeno la metà delle proprie attività in Europa.
Su concorrenza e privatizzazioni, Macron è abbastanza vago. Riconosce che spesso i mercati dei beni e dei servizi funzionano male, ma non propone nessuna misura specifica. Desidera creare un Fonds pour l’industrie et l’innovation da 10 miliardi, finanziato con i dividendi delle imprese pubbliche e dato in gestione a Bpifrance.
Tre anni prima che Macron nascesse, un altro candidato dal profilo abbastanza simile – “di destra” in economia, “di sinistra” sui temi della società – veniva eletto presidente dei francesi. Anche Valéry Giscard d’Estaing guardava al modello scandinavo, con i suoi valori e le sue istituzioni. Che quasi mezzo secolo dopo la Francia cerchi ancora di percorrere questa strada la dice lunga sugli ostacoli che incontrano i riformatori. E che renderanno difficile anche l’azione di Macron, il cui movimento assai difficilmente avrà i voti in parlamento per governare da solo.

Andrea Goldstein per Lavoce.info