Anno IX - Numero 12
La guerra non è mai un atto isolato.
Carl von Clausewitz

martedì 14 marzo 2017

Grazie, Robot

Un profetico testo sull’automazione scritto da Sergio Ricossa nel 1987. Economista accademico, raffinato saggista, divulgatore appassionato, Ricossa è stato il principale editorialista economico de “Il Giornale” di Indro Montanelli. Primo Presidente dell'Istituto Bruno Leoni, per lunghi anni è stata una voce pressoché solitaria nel proporre “idee per il libero mercato” nel nostro Paese. 

di Sergio Ricossa

La prima volta che ho giocato a scacchi contro un calcolatore elettronico, e ho subito perduto, ci sono stato male. Poi è intervenuto il pensiero, il mio pensiero, nella solita sua funzione consolatoria (o illusoria: è all’incirca la medesima cosa), e ora continuo a perdere, di regola, ma non soffro più, anzi mi diverto. Mi trastullo con l’idea che la macchina, per quanto mi batta, mi è inferiore in questo: essa non è libera, io sì. Lei non può impormi di giocare, io sì. Posso perfino imporle di giocare male.

Stando alla definizione di Valéry, sono più geniale della macchina. Diceva infatti Valéry: che cosa è il genio, se non l’arte di charmer la sofferenza? Charmer: aggraziare, e aggraziando consolare, rendere tollerabile. La macchina, presumo, non soffre, a differenza di me; quindi le manca addirittura il movente della genialità. Ha nulla da charmer, nulla di suo. È al mio servizio, ne faccio quel che voglio.

Insomma, ciò che l’uomo ha di più prezioso si connette paradossalmente, misteriosamente, alla propria capacità di soffrire e all’esistenza del male. La libertà e, fra l’altro, libertà di fare il male; ma è pure libertà di tentare di evitarlo o di addolcirlo a sé e al prossimo. Senza il male, da intendere e da combattere, non c’è atto di genio e non c’è scelta morale.

In certi racconti di fantascienza, il robot si ribella all’uomo. Questo presuppone che non sia più un mero strumento, che un uomo eventualmente può usare contro un altro uomo. Presuppone appunto la libertà del robot (il senso della libertà nel robot), la sua scelta morale, la sua sofferenza per la schiavitù: la sua umanizzazione nel senso più profondo della parola, che esige molto di più dell’intelligenza artificiale. È stato facile fabbricare macchine più abili di noi: più forti, più veloci, più resistenti alla fatica, meno soggette all’errore e che ci vincono al gioco degli scacchi. Ma non basta.

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