Anno X - Numero 37
Il tempo degli eventi è diverso dal nostro.
Eugenio Montale

giovedì 16 ottobre 2025

I dati di New York smontano il mito: limitare Airbnb non risolve la crisi abitativa

Il dibattito sugli affitti brevi si ripete con toni accesi in tutto il mondo. Governi locali e associazioni di categoria sostengono che piattaforme come Airbnb o Vrbo sottraggano case ai residenti, alimentando il caro-affitti nelle metropoli globali. Dall’altra parte, i sostenitori degli affitti brevi ribattono che si tratta di una quota marginale dello stock abitativo e che, anzi, rappresentano un’opportunità economica per famiglie e piccoli proprietari. La città di New York è diventata la cartina tornasole di questo scontro

di Redazione Economia x Finanza

Con l’entrata in vigore della Local Law 18, a settembre 2023, la Grande Mela ha imposto requisiti rigidissimi: obbligo di registrazione, presenza costante dell’host durante il soggiorno, massimo due ospiti per volta, divieto di chiusura a chiave delle stanze. Risultato immediato: l’offerta di Airbnb si è ridotta dell’89% in pochi mesi, secondo i dati del Comune.
Ma la domanda cruciale resta: questa stretta ha davvero migliorato l’accessibilità delle case? I dati, purtroppo per i regolatori, dicono di no.

Prezzi degli affitti: sempre più alti
Se la teoria dei fautori delle restrizioni fosse corretta, eliminare migliaia di appartamenti dal mercato degli affitti brevi avrebbe dovuto riportarli verso il mercato residenziale di lungo periodo, aumentando l’offerta e calmierando i prezzi.

La realtà è diversa. Secondo i dati pubblicati da Apartments.com e ripresi da U.S. News & World Report, nel 2024 i canoni medi a New York sono cresciuti di oltre l’8% rispetto al 2023, cioè più che in altre grandi città come Boston, Miami o San Francisco; proprio l’opposto di quanto promesso dai sostenitori della legge.

Questo andamento conferma quanto già evidenziato da ricerche accademiche, ad esempio uno studio pubblicato su Harvard Business Review, secondo cui l’impatto degli affitti brevi sui prezzi è minimo: in media, circa 125 dollari in più l’anno per un inquilino, pari ad appena l’1% dell’incremento totale delle locazioni.

Il mercato nero e gli hotel: i veri vincitori
Se gli inquilini non hanno guadagnato nulla, qualcuno invece ha vinto. Il primo beneficiario è l’industria alberghiera. Con un mercato turistico che conta più di 50 milioni di visitatori all’anno, la scomparsa di migliaia di appartamenti su Airbnb ha fatto salire i prezzi delle camere d’albergo, garantendo agli hotel margini più alti e meno concorrenza.

Parallelamente, si è assistito a un’esplosione delle locazioni medie (oltre i 30 giorni), spesso usate come escamotage per aggirare la legge. Molti proprietari hanno infatti trasformato i propri annunci in soggiorni “medio-lunghi”, sottraendoli sia al mercato turistico che a quello residenziale tradizionale. In altri casi, sono comparsi veri e propri affitti in nero, sfuggendo a controlli e tasse.

Il risultato? Un mercato meno trasparente, meno competitivo, e con meno tutele sia per gli ospiti che per gli host.

Argentina: la liberalizzazione di Milei e i risultati sul mercato
Se New York mostra i limiti della repressione dell’offerta, l’Argentina offre il contro-esempio della liberalizzazione. Con il DNU 70/2023 (dicembre 2023), il presidente Javier Milei ha abrogato la Legge 27.551 sugli affitti, eliminando paletti rigidi su durata, indicizzazione e moneta. Il decreto ha riportato ampia libertà contrattuale: i canoni possono essere pattuiti in valuta estera o in pesos, con criteri di aggiornamento concordati fra le parti e senza un minimo legale di durata imposto per i nuovi contratti. Si tratta di una rottura radicale rispetto al regime precedente, pensata per far rientrare sul mercato l’offerta “sparita” negli anni dei controlli.

Gli effetti? Un boom di offerta a Buenos Aires (CABA). Secondo l’Osservatorio del Collegio Immobiliare porteño, a metà 2024 gli annunci di case in locazione risultavano quasi triplicati rispetto al periodo pre-decreto, con un aumento attorno al +195%; successive rilevazioni hanno parlato di crescita nell’ordine del 200% e, su base annua, anche di aumenti a tre/quattro cifre a fronte del rientro massiccio di immobili prima ritirati. Al di là della volatilità delle stime, la direzione è univoca: l’offerta è esplosa.

Sul fronte prezzi, in un contesto di inflazione elevatissima, la dinamica che conta è quella reale (cioè al netto dell’inflazione). Le misurazioni su Buenos Aires indicano che nel 2024 i canoni medi sono scesi in termini reali (–30/–40% a seconda delle fonti), nonostante tenute o rialzi nominali: un segnale di riassorbimento delle tensioni dovuto al ritorno di offerta e alla maggiore negoziabilità fra proprietari e inquilini.

Testate e centri di analisi hanno documentato l’aumento delle inserzioni e la normalizzazione del mercato degli affitti dopo la deregolamentazione. Pur con tutte le cautele del caso (la transizione non è indolore per tutti), la direzione è coerente con la teoria economica: più libertà contrattuale ⇒ più offerta ⇒ meno pressione sui prezzi reali. È doveroso ricordare che il quadro macro argentino resta complesso, con forti aggiustamenti fiscali e sociali. Tuttavia, sul segmento locativo, il messaggio è chiaro: nel breve periodo la liberalizzazione ha riportato offerta e raffreddato i prezzi reali — l’esatto opposto degli esiti osservati dove si restringe l’offerta come a New York.

I tassi di sfitto restano invariati
Un altro indicatore da monitorare era il tasso di vacancy: se migliaia di unità fossero state riconvertite a uso residenziale, ci si sarebbe aspettato un aumento degli appartamenti disponibili in affitto. Ma i dati elaborati da Apartment List mostrano che i tassi di sfitto a New York sono rimasti sostanzialmente stabili nei mesi successivi all’entrata in vigore della legge, in linea con altre città americane ad alto costo.

Questo conferma l’intuizione: gran parte delle abitazioni utilizzate come affitti brevi non torna automaticamente sul mercato residenziale, perché spesso si tratta di seconde case o di immobili che i proprietari vogliono mantenere liberi per un uso personale periodico.

La narrazione politica non cambia
Eppure, nonostante i dati siano inequivocabili, la narrazione pubblica resta la stessa. Solo pochi giorni fa, Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera ha rilanciato la richiesta di ulteriori vincoli, persino sugli affitti lunghi (che già sono regolamentati). E la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha annunciato nuove restrizioni sugli affitti brevi, dimenticando che l’Unione Europea non ha competenza diretta in materia abitativa.

Anche in Italia, alcune amministrazioni locali hanno scelto la via della stretta: il Comune di Firenze e la Regione Toscana hanno introdotto divieti che molti esperti giudicano giuridicamente fragili, se non apertamente illegittimi. Ma la linea restrittiva sembra inarrestabile: la politica preferisce lanciare segnali facili, piuttosto che affrontare i veri nodi del problema.

I motivi dietro la crociata anti-Airbnb
Perché allora i governi locali insistono su una ricetta che i numeri smentiscono? La risposta va cercata in una combinazione di interessi e ideologie:
  • gli interessati: gli albergatori, che hanno spinto fin dall’inizio per limitare la concorrenza delle piattaforme digitali.
  • gli opportunisti: sindaci e amministratori che, incapaci di affrontare le cause strutturali della crisi abitativa, additano gli affitti brevi come comodo capro espiatorio.
  • i residenti benestanti: i cosiddetti “fighetti” dei centri storici, che mal tollerano i flussi turistici nei loro quartieri.
  • i dirigisti: coloro che diffidano della libertà di mercato e vedono nella proprietà privata un terreno da disciplinare rigidamente.
Queste componenti, pur molto diverse tra loro, finiscono per convergere su un obiettivo comune: ridurre la libertà dei proprietari e colpire un settore che ha innovato il mercato.

Le vere cause della crisi abitativa
La verità è che la crisi degli affitti non nasce da Airbnb. È il prodotto di decenni di scarsa costruzione di nuove abitazioni, di burocrazia urbanistica che rende complesso edificare, di una domanda crescente concentrata in aree metropolitane e universitarie. In Italia, si aggiunge un sistema fiscale e normativo che scoraggia gli investimenti immobiliari, spingendo molti proprietari a lasciare case sfitte piuttosto che rischiare morosità o lunghi contenziosi.

Bloccare gli affitti brevi non significa aumentare le case disponibili. Significa semplicemente ridurre le alternative per i proprietari e per i turisti, senza toccare i veri fattori che determinano la scarsità abitativa.

Più mercato, meno illusioni
L’esperimento di New York è chiaro: anche riducendo quasi a zero gli affitti brevi, gli affitti non scendono, i tassi di sfitto non migliorano, l’offerta di case non aumenta. Semmai cresce il mercato nero e si rafforzano i monopoli alberghieri.

Eppure la politica continuerà sulla stessa strada, perché il “colpevole perfetto” è stato trovato. Airbnb è un nemico visibile, facilmente attaccabile, che consente di spostare l’attenzione dai veri problemi.

Chi ha a cuore davvero l’accessibilità delle abitazioni dovrebbe avere il coraggio di dirlo: servono più costruzioni, meno vincoli, più concorrenza. Tutto il resto, come dimostrano i dati di New York, è pura illusione regolatoria. Buenos Aires mostra che la liberalizzazione riporta offerta e raffredda i prezzi reali. Se l’obiettivo è più housing a prezzi accessibili, la strada è quella di costruire di più, semplificare regole e oneri, e liberare contratti e mercati. Tutto il resto, come insegnano i dati, è un’illusione regolatoria.

Nessun commento:

Posta un commento