Anno IX - Numero 31
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Soren Kierkegaard

giovedì 5 dicembre 2024

Cronaca di una sconfitta annunciata. Analisi delle elezioni americane

Confrontando i risultati delle recenti elezioni presidenziali in Usa con quelli del 2016 e del 2020, Trump ha ottenuto 2,1 milioni di voti in più rispetto al 2020 mentre Harris ne ha persi 7,2 milioni rispetto a Biden ma ha superato i voti della Clinton e di Obama. Dietro questo exploit, non c’è il  comportamento dei diversi segmenti della società americana ma ci sono l’espansione del corpo elettorale e il ruolo determinante degli Stati contesi

di Massimiliano Massimiliani

Dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni Presidenziali USA, e durante tutta la campagna elettorale, moltissimi commenti ed analisi si sono concentrati sull’orientamento dei vari gruppi elettorali, sul voto femminile e quello dei diversi gruppi etnici, sulla classe sociale, sul livello di istruzione, etc… È però utile ragionare prendendo in considerazione i voti espressi e le loro variazioni rispetto alle elezioni del 2020, e non solo. Un quadro chiaro dei numeri è fondamentale per capire meglio il voto e le reali proporzioni delle forze in campo.

Il primo dato che emerge è che a differenza del 2016, Trump ha vinto non solo sui grandi elettori, ma anche nel voto popolare sebbene la sua vittoria alla fine del conteggio sarà probabilmente ridimensionata rispetto al disastro che sembrava emergere dai primi exit poll. Mentre scrivo non sono ancora finiti i conteggi in tutti gli Stati; soprattutto manca una parte dello Stato più grande, la California. Tuttavia, una previsione attendibile è che i voti finali saranno di poco superiori a 76,9 milioni per Trump e ai 74,5 milioni per la Harris. Quest’ultima, sebbene sconfitta, ha ottenuto molti più voti di quelli che nelle precedenti elezioni andarono a Obama (2008: 69,5 mln; 2012: quasi 66 mln) e a Hillary Clinton, la quale, pur perdendo la corsa per la Presidenza, aveva ottenuto più voti popolari di Trump: 66 milioni contro 63. .

Inoltre, bisogna ricordare che Biden quattro anni fa aveva conseguito un risultato strabiliante nella storia delle elezioni USA: più di 81 milioni di voti mentre Trump ne ottenne 74 milioni, per un totale di circa 158,5 milioni di voti.

Questi numeri ci aiutano a capire la dimensione delle forze in campo e la capacità di mobilitazione dei due candidati: quest’anno Trump è cresciuto di 2,1 milioni di voti (pari a circa il 2,8%) rispetto alle elezioni perse con Joe Biden; Kamala Harris ha perso 7,2 milioni di voti (circa l’8,9%) rispetto a 4 anni fa. Questi sono chiaramente i voti popolari, cioè il totale dei voti espressi dagli elettori statunitensi, senza tenere in considerazione la divisione tra Stati e la questione dei “grandi elettori”, ma è un dato politicamente importante, perché in passato per due volte i candidati democratici pur prendendo più voti in assoluto hanno perso nel conteggio dei grandi elettori: sono i casi di George W. Bush (50,5 milioni) contro Al Gore (51 milioni) nel 2000 e di Donald Trump (63 milioni) contro Hillary Clinton (66 milioni).

A questo punto però è necessario tenere presente un altro dato, soprattutto da parte degli osservatori europei abituati a dinamiche di voto e di consistenza del corpo elettorale relativamente stabili rispetto a quelle americane. Il dato è l’impressionante aumento negli ultimi anni dei voti espressi e della base elettorale. Infatti negli Stati Uniti la popolazione in età di voto, aumenta ogni 4 anni – quindi ad ogni elezione Presidenziale – di circa 10 milioni di persone. Di conseguenza dal 1992 ad oggi il corpo elettorale è aumentato di circa 75 milioni di persone, i cittadini registrati di oltre 42 milioni e i voti espressi di 51 milioni.

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