Anno IX - Numero 29
Tutte le guerre sono combattute per denaro.
Socrate

martedì 27 giugno 2023

La sfida all’inflazione sulle due sponde dell’Atlantico

A giugno Fed e Bce hanno preso decisioni diverse sui tassi. Se l’azione della prima lascia qualche dubbio, la seconda paga i ritardi nell’avvio della fase restrittiva e si trova a gestire una situazione complessa con alta inflazione ed economia debole

di Tommaso Monacelli

Cosa succede negli Stati Uniti? Dopo una sequenza di dieci rialzi consecutivi, nel suo ultimo meeting di giugno 2023 la Federal Reserve ha deciso di mantenere i tassi di interesse invariati. La decisione sembra aver lasciato più dubbi che risposte. Perché fermarsi quando è stata segnalata chiaramente l’intenzione di continuare con rialzi futuri dei tassi, a cominciare dalla riunione del prossimo luglio?

L’inflazione core è al di sopra del 5 per cento e portarla dal 5 al target del 2 per cento sarà molto più difficile rispetto a quanto sia stato portarla dal 10 al 5 per cento. La disoccupazione è ancora molto bassa e in generale l’economia americana ha mostrato una tenuta che ha sorpreso molti osservatori.
I tassi di interesse reali, cioè depurati per l’inflazione, sono tuttora bassi; ma sono questi ultimi quelli rilevanti per le decisioni di spesa e investimento e per giudicare se la politica monetaria sia in modalità espansiva o restrittiva. Oggi, quindi, nonostante tassi nominali oltre il 5 per cento, la politica della Fed è solo moderatamente restrittiva.

In questo contesto di inflazione “core” molto resistente e di bassa disoccupazione, la pausa della banca centrale americana nel rialzo dei tassi appare poco comprensibile. Soprattutto perché un rialzo futuro (a luglio) è già praticamente annunciato. Che significato ha la battuta d’arresto? Una possibile interpretazione è che la Fed voglia aspettare per raccogliere più evidenza sull’andamento dei prezzi e sull’effetto che il ciclo restrittivo ha avuto finora sull’economia. Ma anche se così fosse, è difficile immaginare che il quadro possa essere molto più chiaro fra un mese. La confusione è giustificata: quali dati che non sono disponibili oggi permettono alla Fed di mettere in programma un rialzo a luglio? Sicuramente per i mercati sarebbe stato più comprensibile un rialzo oggi accompagnato dall’annuncio di una pausa nel meeting di luglio.

Cosa succede in Europa
La Banca centrale europea ha invece deciso di continuare con il proprio sentiero rialzista. Il quadro in Europa sembra però deteriorarsi con maggiore velocità. Nel primo trimestre del 2023 l’attività economica europea ha segnato una flessione, seppur leggera, ma indice di un rallentamento evidente dell’economia. L’inflazione rimane oltre il 6 per cento ed è attualmente più alta che negli Stati Uniti, sia nell’indice di inflazione headline (più generale) che nel più ristretto indice core. È chiaro che con tassi di interesse nominali di poco sopra il 3 per cento la politica della Bce rimane solo moderatamente restrittiva. Ciononostante, lo spazio per un aumento dei tassi, per quanto necessario, si fa sempre più stretto e costoso. Da tutti i dati, infatti, l’economia europea appare più fragile di quella americana e molto più vicina a scivolare in una recessione. In altri termini, i prossimi mesi saranno di difficile gestione per la Bce, alle prese con un’inflazione che rimane “troppo alta e troppo a lungo” (parole della presidente Christine Lagarde) in un quadro economico che va deteriorandosi rapidamente.

Per la Bce stanno venendo al pettine i nodi di una strategia restrittiva che si è attivata con molto ritardo. Il rialzo dei prezzi in Europa è iniziato con lo shock energetico e con la spinta derivante dall’eccesso di domanda post-Covid. Ma è oramai chiaro che il processo si è consolidato attraverso il meccanismo delle aspettative. Quando ciò accade l’inflazione tende ad auto-alimentarsi: è sufficiente che gli operatori economici si aspettino più alta inflazione in futuro per spingerla al rialzo già nel presente.

I motivi sono principalmente due. Innanzitutto, lavoratori e sindacati, aspettandosi più alta inflazione in futuro e quindi nel periodo del contratto di lavoro sottoscritto oggi, attuano rivendicazioni tese a proteggere il potere d’acquisto dei salari lungo la durata del contratto stesso. Salari più alti oggi spingono in alto il costo del lavoro per le imprese, e quindi i prezzi.

Inoltre, le imprese vogliono proteggere il prezzo dei loro beni relativamente ai concorrenti: aspettandosi prezzi generalmente più alti domani, li aumenteranno già da oggi. In altri termini, se una singola impresa si aspetta che tutte le altre imprese aumenteranno i prezzi, riterrà conveniente aumentarli a sua volta, perché in tal modo potrà incrementare i ricavi senza indurre una diminuzione della domanda (i consumatori non si muoveranno da un’impresa all’altra visto che tutte stanno rialzando i prezzi).

In Europa è molto chiaro che il meccanismo si è messo in atto dopo la spinta iniziale sui prezzi derivante dal costo dell’energia, e che la Bce è intervenuta con ritardo per arrestarlo. Ciò rende l’inflazione oggi molto più persistente rispetto alla dinamica dei prezzi dell’energia, che dopo la salita iniziale nel 2021-2022 sono ritornati ai valori antecedenti la guerra in Ucraina.

La sfida per la Bce è quindi solo agli inizi. Si tratterà di aggredire la componente sottostante e persistente dell’inflazione che si alimenta con i rinnovi salariali e attraverso le aspettative delle imprese. Ma il sentiero è sempre più stretto: la fragile tenuta dell’economia renderà le scelte di Francoforte politicamente sempre più difficili.

Tommaso Monacelli per Lavoce.info

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