Anno IX - Numero 29
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Socrate

martedì 27 giugno 2023

La ''nuova Turchia'' di Erdoğan somiglia molto a quella vecchia

Nonostante alcuni primi segni di moderazione, dopo aver vinto il suo terzo mandato presidenziale in elezioni contestate, Recep Tayyip Erdoğan è rimasto fedele alle sue consuete politiche repressive

di Kenan Behzat Sharpe

Presto sarà passato un mese dall’inizio del terzo mandato di Recep Tayyip Erdoğan alla guida della Turchia. La sua vittoria e le successive decisioni politiche sono state interpretate in vari modi, anche da coloro che sostengono che le sue scelte di governo rivelano segni di moderazione. Tuttavia, le speranze in questa direzione sembrano premature.

Che il problema sia il rapporto della Turchia con l’Europa, la gestione non ortodossa dell’economia o la repressione del dissenso, la «nuova Turchia» promessa da Erdoğan assomiglia molto al paese che il suo Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) ha governato negli ultimi ventun'anni.

Un’elezione testa a testa

Dopo essere sceso sotto la soglia del cinquanta per cento necessaria per vincere al primo turno le elezioni presidenziali, Erdoğan ha vinto il ballottaggio del 28 maggio con il 52,18 per cento. Nelle elezioni parlamentari tenutesi contemporaneamente, la coalizione Akp ha mantenuto la maggioranza. Erdoğan ha ricevuto prontamente le congratulazioni da leader politici e funzionari internazionali come il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha affermato di «non vedere l’ora di continuare a costruire le relazioni Ue-Turchia».

Questa vittoria è stata uno shock per il 47,82 per cento degli elettori che avevano votato per il candidato dell’opposizione, Kemal Kılıçdaroğlu del Partito Repubblicano del Popolo (Chp). Quest’ultimo era riuscito a riunire un partito conservatore, uno nazionalista e persino uno islamista in una coalizione nota come Tavolo dei Sei. Inoltre, il Partito della Sinistra Verde, che ha una forte base in curdi e socialdemocratici in tutta la Turchia e nel sud-est del Paese, ha deciso di non schierare un proprio candidato.

Una vasta gamma di alleati si era quindi unita con un unico obiettivo: sconfiggere Erdoğan in modo che il Paese avesse una possibilità di cambiamento. Grazie alla crescente crisi economica e alla, ampiamente criticata, cattiva gestione del governo delle conseguenze dei forti terremoti di febbraio, molti hanno pensato che la Turchia potesse finalmente svoltare in una nuova direzione.

La Turchia è ancora una democrazia?
Ci sono molte ragioni per cui il tentativo di aprire un nuovo capitolo nella storia della Turchia è fallito. In primo luogo, non c’era competizione tra Erdoğan e il suo avversario. Mentre Erdoğan e il suo partito hanno utilizzato le risorse statali, compresa l’emittente televisiva nazionale turca Trt, per condurre la loro campagna, all’opposizione sono rimasti alcuni canali dell’opposizione e social media assediati. Ad esempio, nel solo mese di aprile, a Erdoğan sono state concesse trentadue ore di trasmissione contro solo trentadue minuti per Kılıçdaroğlu.

Il rapporto ufficiale fornito dalla missione di osservazione dell’Osce rileva che «il presidente in carica e i partiti al potere hanno goduto di un vantaggio ingiustificato, anche attraverso una copertura mediatica di parte».

Oltre a questa disparità e alle irregolarità e alle intimidazioni ampiamente riportate, Erdoğan e i suoi alleati hanno condotto una campagna altamente polarizzante, con alcuni dei leader più popolari dell’opposizione in carcere o che rischiano lunghe pene detentive. Secondo un articolo di Fareed Zakaria sul Washington Post, questo tipo di clima elettorale è nuovo nella storia della democrazia. «Queste elezioni sono libere? Tecnicamente sì, ma sono anche profondamente ingiuste», ha affermato.

Qualsiasi speranza di cambiamento avrebbe dovuto spegnersi di fronte agli attacchi ai giornalisti subito dopo le elezioni. L’Alto consiglio della radio e della televisione ha multato diverse emittenti per commenti fatti durante la copertura elettorale. Il canale di opposizione Tele1 è stato multato per un programma che parlava di irregolarità elettorali, mentre il popolare giornalista di Fox Tv Çiğdem Toker deve affrontare una battaglia legale per aver detto in onda che «la democrazia non vive solo nelle urne».

Le speranze si stanno spegnendo
Dopo la vittoria, Erdoğan ha iniziato a formare il nuovo governo. Nel suo primo discorso di gabinetto era sembrato offrire un ramoscello d’ulivo agli elettori delusi dell’opposizione: «Tutta la Turchia ha vinto con noi e la nostra coalizione. Ha vinto ognuno degli ottantacinque milioni [di cittadini], indipendentemente dalle preferenze politiche».

Anche alcune scelte sembravano a prima vista segnalare un ammorbidimento. Il bellicoso ministro dell’Interno Süleyman Soylu è stato messo da parte. Tuttavia, quando il successore Ali Yerlikaya era governatore di Istanbul è stato responsabile del divieto della marcia annuale della Giornata internazionale della donna dell’8 marzo a Taksim.

Il capo dell’agenzia di intelligence turca Mit, Hakan Fidan, istruito negli Stati Uniti, è stato nominato ministro degli Esteri. Per quanto rispettato possa essere nei circoli della sicurezza internazionale, durante il suo periodo a capo dell’agenzia di intelligence i giornalisti all’estero sono stati presi di mira e spiati.

Analogo pessimismo si è instaurato per quanto riguarda il rapporto fra Turchia ed Europa, poiché finora la politica estera sotto Fidan sembra essere la stessa di sempre. Il 12 luglio, funzionari di Turchia, Svezia, Finlandia e Nato si incontreranno in Lituania per discutere l’offerta di adesione della Svezia, ma Fidan ha ripetuto i soliti discorsi sulla Svezia come rifugio per «terroristi».

Vane le mosse di Stoccolma per andare incontro alle preoccupazioni turche per la sicurezza legate al fuorilegge Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), pur rimanendo in conformità con il diritto locale e dell’Ue.

La cosa più importante nel momento in cui l’economia turca sembra dirigersi verso una crisi ancora più profonda è stata la scelta di Erdoğan del ministro delle Finanze. L’incarico è stato affidato a Mehmet Şimşek, un uomo rispettato dai mercati finanziari quando ha prestato servizio dal 2009 fino al suo licenziamento da parte di Erdoğan nel 2018.

Il ritorno di Şimşek sembrava indicare che Erdoğan avrebbe consentito il ritorno a misure più ortodosse e l’abbandono della politica del taglio dei tassi nonostante l’inflazione galoppante. Inoltre, Hafize Gaye Erkan, ex dirigente della First Republic Bank e Goldman Sachs negli Stati Uniti e prima donna a ricoprire la carica in Turchia, è stata nominata governatore della Banca centrale.

Tuttavia, subito dopo queste nomine apparentemente progettate per calmare i mercati, Erdoğan ha comunicato fin troppo chiaramente che la sua visione dell’economia è rimasta invariata, anche se la lira turca ha perso l’ottanta per cento del suo valore rispetto al dollaro negli ultimi cinque anni e il costo della vita è fuori controllo.

Parlando il 14 giugno, ha insistito sul fatto che l’inflazione in Turchia sarebbe scesa ad una cifra, insistendo anche di essere contrario all’aumento dei tassi di interesse: «Alcuni dei nostri amici non dovrebbero sbagliarsi pensando cose come “Il presidente sta andando verso un serio cambiamento dei tassi di interesse”».

Non è chiaro quanta autonomia avranno il nuovo ministro delle Finanze e il governatore della Banca centrale, dato che in passato Erdoğan ha licenziato funzionari le cui opinioni si discostavano dalle sue. I mercati non sembrano essere convinti di questi passi per segnalare un ritorno al buon senso economico.

Dopo le elezioni, le riserve di valuta estera hanno raggiunto livelli netti negativi, mentre la lira turca ha continuato a deprezzarsi per due settimane consecutive. Con le elezioni locali all’orizzonte, comprese quelle dei sindaci di Istanbul e Ankara che sono attualmente nelle mani dell’opposizione, non è chiaro se il presidente vorrà rischiare di tornare su un terreno razionale, che sarebbe un’amara medicina che potrebbe inizialmente causare stagnazione economica e persino un ulteriore aumento dell’inflazione.

La repressione continua
Ci sono anche segnali che la repressione della società civile, degli attivisti per i diritti umani e delle figure dell’opposizione continuerà e forse addirittura peggiorerà. Alla vigilia delle elezioni, Erdoğan ha tenuto un discorso in cui ha promesso di non lasciare mai uscire di prigione Selahattin Demirtaş, popolare politico curdo ed ex co-presidente del Partito Democratico del Popolo (Hdp).

La folla che ascoltava il presidente ha risposto con grida di «Morte a Selo», chiedendo l’esecuzione del politico. Ciò è avvenuto nonostante la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) abbia nuovamente stabilito che i diritti di Demirtaş e di altri politici dell’Hdp erano stati violati.

Nel frattempo, molti di alto profilo attivisti per i diritti umani rimangono in carcere. Uno di loro è l’avvocato Can Atalay, eletto deputato dal Partito dei Lavoratori della Turchia (TİP). È una delle otto persone imprigionate nel caso delle proteste di Gezi Park del 2013 e condannate per aver orchestrato le proteste popolari. Tuttavia, Atalay ora è un deputato.

Secondo l’articolo 83 della costituzione turca, i parlamentari non possono essere arrestati o detenuti senza che il Parlamento abbia votato sulla questione. Nonostante le manifestazioni del TİP in tutto il paese, Atalay rimane in prigione.

Erdoğan e la coalizione guidata dall’Akp hanno fatto della retorica anti-Lgbt+ un altro pilastro della loro strategia elettorale. Nel suo primo discorso dopo l’insediamento, Erdoğan ha promesso di introdurre un emendamento costituzionale per «proteggere la famiglia» dai «pervertiti».

Figure chiave del partner della coalizione come Yeniden Refah Partisi (Yrp) hanno detto che avrebbero lavorato per chiudere le iniziative della società civile e le ong Lgbt+. La Turchia ha ora il suo parlamento più di destra nella sua storia secolare, con partiti islamici estremisti come Yrp e Hüda-Par, un partito con legami con l’organizzazione terroristica Hezbollah, come alleati dell’Akp.

Entrambi i partiti sono fortemente contrari all’uguaglianza di genere nella legge. Hanno anche preso di mira le leggi volte a prevenire la violenza contro le donne e hanno contestato le attuali leggi sugli alimenti, i limiti di età per il matrimonio, il diritto al divorzio e altri argomenti.

Questa retorica fortemente misogina e omofobica continua ad avere ramificazioni concrete, soprattutto ora che la comunità Lgbt+ in Turchia si prepara a celebrare il suo mese del Pride. Ad esempio, il 7 giugno un collettivo cinematografico si è visto annullare dai governatori locali di Istanbul una proiezione di un film sui minatori e le persone Lgbt+ in Gran Bretagna. Quando il gruppo è andato comunque avanti con la proiezione del film, la polizia ha circondato l’edificio e ha preso in custodia sia gli organizzatori che persone del pubblico.

Kenan Behzat Sharpe per Osservatorio Balcani Caucaso

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