Anno IX - Numero 12
La guerra non è mai un atto isolato.
Carl von Clausewitz

venerdì 8 gennaio 2021

Un buon giorno per morire

L’8 gennaio del 1877 Cavallo Pazzo ed i suoi guerrieri combatterono l’ultima grande battaglia contro i Soldati a Cavallo a Wolf Mountain, la Montagna del Lupo, nel territorio del Montana. Quello che la battaglia non decise lo fece il Generale Inverno. Stremati da temperature senza precedenti, malati, affamati – donne e bambini decimati – Cavallo Pazzo ed i suoi capi si presentarono alle porte di Fort Robinson, Nebraska pronti a negoziare la resa

di Cesare Poppi

«Questo è un buon giorno per morire» sarebbe la peraltro controversa traduzione dell’espressione «Hòka-hèy» nell’idioma degli Indiani Oglala Sioux. Controversa è anche l’attribuzione del detto. Compare in due contesti diversi nel famoso resoconto (anche quello peraltro controverso) che Alce Nero, per la penna di John Neihardt (Alce Nero parla, 1932) e l’intermediazione linguistica del figlio Ben, consegnò alla storia di quella battaglia del Little Big Horn, tomba del Generale Custer, divenuta icona tanto dell’eroismo dei nativi americani quanto del loro destino storico. Sta di fatto che la prima attestazione del detto è del 1881 ed è attribuita a Cane Basso, uno dei capi degli Sioux che combatterono a Little Big Horn.
Nella narrazione di Alce Nero essa è invece attribuita a Cavallo Pazzo – Thašùnke Witko in Oglala Sioux – di gran lunga il leader indiano più noto di quell’ultima grande epopea del crepuscolo degli indiani. Nelle parole di Piccolo Soldato, guerriero Sioux che partecipò alla battaglia e sopravvisse: «Cavallo Pazzo fu a detta di tutti il guerriero più coraggioso: fu lui ad esortare i suoi compagni prima della battaglia col grido Hòka-hèy che divenne il loro grido di battaglia» per poi – aggiunge l’Altropologo – passare alla storia. Uomo d’Acqua, altro testimone oculare della battaglia, ebbe a dire: «Il più grande guerriero di quel giorno fu Cavallo Pazzo: spingeva il suo cavallo al galoppo sempre più vicino ai soldati americani gridando ai suoi che lo seguissero. Tutti i soldati cercavano di sparargli ma non fu mai colpito». Ma tanto era scritto nella biografia mistica – per così chiamarla – del grande capo.

Cavallo Pazzo era nato fra il 1840 ed il 1845. Il suo primo nome Cha-O-Ha, «Nella Selva» per indicare la sua propensione per vivere nella natura. Ma quando il padre, di nome Cavallo Pazzo, vide il figlio crescere in forza e maturità, gli dette il suo nome ed assunse per sé il nome Verme. Così le fonti orali. Nel 1854 il Nostro viveva in un villaggio del Nebraska coi suoi parenti materni. Un giorno l’accampamento ricevette la visita dei Soldati Blu. Il Tenente John Lawrence Grattan al comando di un distaccamento di 29 soldati aveva il compito di recuperare una vacca che – si diceva – era stata rubata dagli Sioux. Pare in realtà che il bovino in questione si fosse sbrancato fino a giungere girovago nel villaggio indiano. Si era aspettato qualche tempo per vedere se il legittimo proprietario si fosse fatto vivo, poi qualcuno pensò bene di macellare la bestia e dividerne la carne con tutto il villaggio. Festa grande. Ma nel corso delle indagini nacque una controversia. La controversia degenerò in rissa fra indiani e soldati fino a quando un Soldato Blu particolarmente nervoso fece secco con una pistolettata il Capo Orso-che-Conquista. La reazione degli Sioux fu tremenda: in men che non si dica tutti i soldati ed il loro interprete furono trucidati in quello che passò alla storia come il Massacro di Grattan.

Probabilmente traumatizzato dalla violenza dell’evento, il giovanissimo Cavallo Pazzo cominciò ad avere incubi e visioni notturne. In un tentativo di riportare sotto controllo quello che era con tutta probabilità un trauma psicologico dovuto alla ferocia dell’evento, il giovane decise di andare alla ricerca della sua esclusiva Visione. Questo secondo una tradizione culturale che vuole la Visione declinare come in un rito di passaggio la prospettiva ed il progetto di vita dei giovani in età matura. La Visione di Cavallo Pazzo è una delle poche descrizioni del genere che ci è dato conoscere nel resoconto di Alce Nero – pur con tutti i limiti delle trasmissioni orali e tenuta in mente la complessità dell’evento. In sostanza: il Nostro cavalcava in una sorta di Mondo Liquido nel quale niente e nessuno – ostacoli, frecce, proiettili e fulmini – potevano fermare la furia guerriera sua e del suo cavallo. Questo nella misura in cui egli avesse evitato per sempre il vestire sgargiante, i comportamenti orgogliosi e superbi e la presa di scalpi e trofei in battaglia.

Le fonti lo descrivono dunque adulto e famoso come persona timida e solitaria, modesto e schivo nella frequentazione dei suoi pari ma particolarmente socievole coi bambini, solo coi quali amava ridere e scherzare. L’8 gennaio del 1877 Cavallo Pazzo ed i suoi guerrieri combatterono l’ultima grande battaglia contro i Soldati a Cavallo a Wolf Mountain, la Montagna del Lupo, nel territorio del Montana. Quello che la battaglia non decise – si trattò in sostanza di una patta – decise il Generale Inverno. Stremati da temperature senza precedenti, malati, affamati – donne e bambini decimati – Cavallo Pazzo ed i suoi capi si presentarono alle porte di Fort Robinson, Nebraska pronti a negoziare la resa. Era il 5 maggio 1877.

Thašùnke Witko morirà di un colpo di baionetta per mano di un soldato sprovveduto, in circostanze anch’esse controverse, quattro mesi più tardi. Era meno - o poco più - che quarantenne.

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