Anno IX - Numero 10
Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci.
Eleanor Roosevelt

mercoledì 4 ottobre 2017

Perché Vivendi ha bisogno di Mediaset per crescere

Fallito il tentativo di acquisire Mediaset Premium, Vivendi ha optato per una joint-venture tra Tim Vision e Canal Plus. Resta però il problema dei contenuti. Così, ora il vero banco di prova è l’asta dei diritti calcio di serie A. E la ricerca di un alleato

di Augusto Preta

Le vicende degli ultimi giorni con la nomina ad amministratore delegato dell’israeliano Amos Genish e le attese decisioni del governo sulla Golden Power hanno spostato la luce dei riflettori su Telecom Italia e la rete fissa, ma non vi è dubbio che l’intera strategia di Vivendi in Italia non può prescindere dall’altra gamba su cui tutta l’impalcatura poggia, i contenuti, inclusa ovviamente la conclusione della vicenda Mediaset.

Le strategie di Vivendi in Italia
In un’estate particolarmente vivace e piena di colpi di scena, due sono stati i passaggi significativi: l’annuncio a fine luglio della creazione della joint-venture tra la pay tv francese Canal Plus (di proprietà di Vivendi) e TimVision, il servizio di video streaming di Telecom Italia; mentre a settembre è arrivata la comunicazione all’Agcom della soluzione prescelta da Vivendi per rimuovere la posizione dominante in Telecom o Mediaset, scendendo sotto il 10 per cento in una delle due società, in applicazione della decisione dell’Autorità.

La joint-venture tra la pay tv transalpina e l’operatore italiano nasce con l’intenzione di realizzare in Italia un polo audiovisivo di elevata qualità, utilizzando i contenuti di Canal Plus, così da realizzare l’ambizioso progetto di Vincent Bolloré di diventare la maggiore conglomerata media del Sud Europa e del Mediterraneo, in concorrenza con operatori come Sky, Netflix e Amazon. In questa versione ufficiale, la società è di fatto una concorrente diretta di Mediaset, e in particolare proprio di quella Mediaset Premium di cui, poco più di un anno prima, aveva annunciato l’acquisto.

In questa società, in cui Canal Plus sarebbe partner di minoranza, i progetti da sviluppare avrebbero una connotazione nazionale, ma con un forte appeal internazionale, in modo da poter integrare i cataloghi e attrarre i pubblici italiani e francesi e in prospettiva europei. La possibilità di utilizzare la distribuzione in streaming su oltre il 50 per cento della popolazione sulla rete Telecom costituisce un’ulteriore opportunità, soprattutto nell’ottica dell’integrazione rete/contenuti che costituisce l’asse portante della strategia di Vivendi in Italia (e di cui Mediaset sarebbe stata l’ideale partner).

Se Mediaset Premium è il convitato di pietra
Nonostante il fascino del progetto, due sono però i punti che destano perplessità e lasciano aperti nodi ancora irrisolti. Pur essendo un soggetto rilevante, Canal Plus non appare infatti in grado di sostituirsi a Mediaset Premium nell’operazione. In primo luogo perché, a differenza di Sky di cui è stato a lungo il principale competitor europeo (con Telepiù e Canal Plus Espana, poi ceduti, la prima proprio a Sky), Canal Plus ha vissuto una involuzione, diventando un operatore “locale” e registrando perdite notevoli negli ultimi due anni. In secondo luogo, per fare concorrenza a pay tv e nuovi servizi streaming, la prima prerogativa, oltre alle risorse economiche per produrre, è di avere cataloghi attraenti e dunque diritti di esclusiva sui principali film e serie. Tutto questo, in Italia, è già appannaggio proprio dei principali concorrenti (Sky, Netflix, Rai e ancora una volta Mediaset) e dunque le possibilità di successo sono davvero scarse.

A meno che uno di questi soggetti non entri nella joint-venture. E di nuovo viene in mente a tutti lo stesso nome, benché una simile eventualità sia continuamente e strenuamente esclusa dallo stesso convitato di pietra, impegnato a far valere le sue ragioni in tutte le sedi, a cominciare dai tribunali.

D’altro canto, la stessa Agcom, nella delibera in cui prende atto dell’intenzione di Vivendi di trasferire le azioni di Mediaset a un soggetto terzo e indipendente (blind trust), afferma che eserciterà l’attività di monitoraggio “volta a verificare che Vivendi SA non eserciti comunque un’influenza notevole su Mediaset”.

Ora, l’eventuale ingresso di Premium nella nuova società potrebbe non costituire ostacolo ai fini delle posizioni dominanti (la pay tv di Mediaset e Tim Vision non raggiungono insieme il 10 per cento del mercato del Sic-Sistema integrato delle comunicazioni), ma non vi è dubbio che un’Autorità di regolazione, con un procedimento in corso, non potrebbe comunque chiudere gli occhi su un’operazione di questo tipo, girandosi dall’altra parte senza neppure una verifica formale.

Ecco allora che in questo clima d’incertezza e un po’ confuso, il vero banco di prova è rappresentato dall’asta dei diritti calcio di serie A, prevista nei prossimi mesi dopo la mancata assegnazione a giugno. È sicuramente l’ultima chiamata per Vivendi, l’ultima chance per realizzare la sua strategia di integrazione in Italia e in Europa e poter competere con i grandi player internazionali.

I contenuti sportivi sono infatti una parte essenziale dell’offerta pay tv, la arricchiscono, rendendola più attraente per gli abbonati. La vendita in esclusiva del contenuto pregiato rappresenta la condizione essenziale per massimizzare i ricavi degli operatori, differenziandoli verticalmente dai concorrenti, e ripagare l’ingente investimento richiesto dall’acquisto.

Senza i contenuti esclusivi e unici del calcio qualsivoglia ambizione di Vivendi dovrebbe essere riposta nel cassetto. Al contempo, però, senza un accordo, più o meno esplicito, con Mediaset, la possibilità di poter competere a tutto campo con Sky e gli altri concorrenti si rivelerebbe a dir poco velleitaria, come ogni altra strategia sui contenuti che avesse oggi Mediaset come concorrente e non come alleato.

Augusto Preta per LaVoce.info