di Emiliano Mandrone
Come si definisce il valore del lavoro? Cosa concorre a determinarne il salario e perché a volte non comprendiamo certi livelli? Il lavoro è ancora un bene speciale, preservato dalle logiche di mercato?
La definizione della retribuzione − tema assai dibattuto nel passato − è oggi tornata in augea causa sia dell’affievolirsi del rapporto compenso/lavoro sia per il livello basso delle retribuzioni. Così il lavoro non pone più al riparo dal rischio povertà e più voci evocano minimi retributivi o redditi di cittadinanza.
Generalmente la determinazione del prezzo di mercato fa riferimento a fattori oggettivi, quali la produttività, la tecnologia o la fatica, o soggettivi, come la moda, la contrattazione o la considerazione sociale. Tuttavia, sempre più spesso concorrono ragioni extra-economiche: l’asimmetria informativa, la tattica delle multinazionali, il network, la fiscalità, lo skills mismatch (squilibrio tra competenze e mercato del lavoro) o l’aggiramento delle norme.
Si può però proporre un punto di vista diverso: la figura 1 mostra le retribuzioni medie mensili che le persone ritengono giuste per certe professioni, una sorta di valore reputazionale del lavoro, una stima comprensiva delle abilità, delle responsabilità e dell’istruzione implicite. Nell’Indagine Plus si è chiesto il valore che si ritiene giusto per otto professioni (dipendenti, full-time), scelte secondo tre criteri:
1) professioni-simboliche, spesso indicate come strategiche per il nostro paese: restauratori di quadri del Cinquecento, ricercatore scientifico ed esperti per la tutela del territorio (come biologo o geologo).
2) professioni-bandiera di prestigio (cardiologo), tipiche pubbliche (insegnati), tipiche private (operai) e non prestigiose (badanti). Indicano pure, in qualche modo, un ruolo sociale decrescente.
3) propria professione ovvero il valore che le persone danno al proprio impiego.
Il valore reputazionale è più alto rispetto al valore ottenuto dal mercato. In termini comparati, il salario di molte professioni è prossimo ai salari minimi presenti in paesi simili. La differenza media è di circa 30 punti, compresa tra un minimo per gli insegnanti (4 per cento) e un massimo per i restauratori (51 per cento). Contribuiscono alla volatilità la scarsa conoscenza del profilo di questi lavoratori: se le mansioni e le competenze dell’operaio sono note, molto meno lo sono quelle di un restauratore. Il ricercatore e il cardiologo godono di ampia considerazione. Basso è il credito reputazionale della badante, spia di scarsa considerazione delle professioni generiche. È questo il terreno di cova del lavoro nero, degli infortuni o del caporalato: diventa difficile chiedere per sé ciò che non si riconosce agli altri.
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