Anno IX - Numero 10
Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci.
Eleanor Roosevelt

martedì 30 maggio 2017

Verso una filosofia della natura

Il 1889 si può considerare l’anno di una biforcazione fondamentale nello sviluppo del pensiero filosofico del Novecento. Esce il Saggio sui dati immediati della coscienza di Henri Bergson, ruotante sulla distinzione tra materia e spirito, spazio e durata, che alla fine il filosofo francese salderà nella cornice monistica del vivente e della sua evoluzione creatrice, e, a Messkirch, nasce colui che porterà al successo il movimento fenomenologico del maestro Husserl, scatenando in Francia la rivolta dei giovani, come Sartre, proprio contro l’egemonia bergsoniana: Martin Heidegger.

di Francesco Bellusci

La linea del primo è quella di una filosofia dell’immanenza assoluta, di una realtà naturale concepita come un’infinita memoria vivente, di cui l’io, l’intelligenza umana diventano una provincia. Filosofia che si pone come il “prolungamento” metafisico della scienza della natura e con la stessa dignità di quest’ultima. È la linea che nel volgere di un paio di decenni soccomberà al cospetto della linea maggiore del Novecento, della quale Heidegger consacrerà i due caratteri principali.
Da un lato, l’antropologia, fondata sull’eccezione umana rispetto agli altri enti di natura, in quanto l’uomo è aperto alla possibilità e al senso, nell’orizzonte del quale solo s’incontrano il mondo e i suoi oggetti, ovvero è l’unico destinatario dell’appello dell’Essere, e, dall’altro lato, la dismissione della filosofia, cioè l’articolazione di un discorso filosofico paradossalmente autofago, che verte sull’impossibilità della filosofia stessa e delle sue pretese conoscitive, diventando così ermeneutica, filosofia analitica, decostruzione o genealogia. Il primato antropologico ha avuto, infatti, come risvolto il primato del linguaggio umano, col risultato che la filosofia non solo ha abdicato a se stessa, ma ha dimenticato e messo tra parentesi il mondo, imprigionandosi nei testi e nelle parole, come lamentava quarant’anni fa Michel Serres, che invocava un nuovo Rinascimento con il ritorno ad una filosofia della natura, consapevole del fatto che “il mondo così com’è non è un prodotto della mia rappresentazione, bensì il mio sapere è un prodotto del mondo che si autoforma (della natura naturante)” (Hermès IV. La distribution, 1977).

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