di Naziha Mossa
Negli ultimi due decenni la Repubblica Popolare Cinese ha intensificato in maniera significativa la sua presenza economica e diplomatica in Medio Oriente, un’area che fino a pochi anni fa occupava una posizione marginale nelle priorità strategiche di Pechino. La regione è oggi vista come cruciale sia per l’approvvigionamento energetico sia per le opportunità di cooperazione industriale e tecnologica. Tuttavia, la proiezione cinese non si sviluppa in modo isolato: essa è inevitabilmente condizionata dal confronto globale con gli Stati Uniti e dalle dinamiche interne a un contesto regionale complesso e frammentato.
L’analisi della politica cinese in Medio Oriente rivela quindi una doppia dimensione. Da un lato, un approccio pragmatico e orientato al mantenimento di relazioni stabili con tutti gli attori; dall’altro, i limiti di un coinvolgimento che resta subordinato alla competizione con Washington e alla necessità di non farsi trascinare nei conflitti locali.
L’ombra degli Stati Uniti sulla politica cinese in Medio Oriente
La principale variabile esterna che orienta la politica mediorientale di Pechino è il rapporto con gli Stati Uniti. La rivalità sino-americana, ormai strutturale sul piano globale, trova nella regione un terreno di espressione indiretto. Nonostante la crescente rilevanza del Medio Oriente per l’economia cinese, è ancora la postura americana a fissare i limiti e le possibilità di manovra di Pechino.
La presenza statunitense, consolidata nel corso di decenni attraverso alleanze strategiche, basi militari e un peso determinante sui mercati energetici, costituisce un elemento di riferimento costante. Washington continua a influenzare i rapporti di forza regionali, stabilendo regole e alleanze che la Cina deve necessariamente considerare. Le sanzioni economiche, le restrizioni tecnologiche e i legami privilegiati con partner come Israele, Arabia Saudita o gli Emirati Arabi Uniti riducono lo spazio di autonomia di Pechino, che spesso si trova a dover calibrare le proprie iniziative in funzione delle reazioni statunitensi.
La Cina, pur ampliando i propri canali di cooperazione, non dispone ancora degli strumenti militari e diplomatici per proporre un’alternativa di sicurezza credibile agli Stati Uniti. Per questo, la sua strategia si mantiene attenta a evitare scontri diretti e si concentra soprattutto sul consolidamento dei rapporti economici, rinviando a un futuro incerto una maggiore assunzione di responsabilità politica nella regione.
Neutralità pragmatica: tra mondo arabo e Israele
Uno dei tratti distintivi della diplomazia cinese in Medio Oriente è la ricerca di un equilibrio tra le parti in conflitto. A differenza di Washington, tradizionalmente schierata al fianco di Israele, Pechino mira a mantenere un profilo di neutralità, evitando di compromettere rapporti preziosi sia con i Paesi arabi sia con Tel Aviv.
La crisi di Gaza, iniziata dopo il 7 ottobre 2023, ha dato l’impressione di un avvicinamento della Cina alla posizione araba, con dichiarazioni pubbliche a sostegno della causa palestinese e appelli al cessate il fuoco. Tuttavia, diversi analisti internazionali dicono che si è trattato più di mosse tattiche che di un riallineamento strategico. L’interesse principale di Pechino resta infatti quello di non alienarsi né i governi arabi né Israele, in vista di partnership economiche e tecnologiche di lungo periodo.
Questo approccio riflette il pragmatismo tipico della politica estera cinese: evitare di farsi trascinare nei conflitti ideologici o identitari della regione e puntare piuttosto a mantenere rapporti funzionali con tutti gli attori. Le aperture verso il mondo arabo hanno quindi un carattere più contingente, mentre la vera costante è la volontà di mantenere una posizione di “equidistanza attiva”.
Il valore strategico del Medio Oriente per Pechino
Se il confronto con Washington rappresenta il vincolo principale, sono le opportunità economiche e politiche a spingere la Cina a radicarsi nel Medio Oriente. Tre sono i fattori che rendono la regione di importanza strategica: il peso politico internazionale, il potenziale economico e le prospettive di cooperazione industriale.
Sul piano politico, i Paesi arabi dispongono di un ruolo significativo in organizzazioni multilaterali come le Nazioni Unite e l’OPEC+. Il sostegno di questi Stati può risultare cruciale per Pechino in situazioni delicate e nella costruzione di coalizioni diplomatiche più ampie.
Dal punto di vista economico, la presenza cinese si è consolidata in modo impressionante. Nel solo 2024, gli investimenti e i contratti legati alla Belt and Road Initiative (BRI) in Medio Oriente hanno superato i 39 miliardi di dollari, rendendo la regione la principale destinataria globale del progetto. L’Arabia Saudita è emersa come partner prioritario, con progetti per circa 18,9 miliardi di dollari, seguita da Iraq (9 miliardi) ed Emirati Arabi Uniti (3,1 miliardi). Questi investimenti si concentrano non solo nel petrolio e gas — circa 24,3 miliardi — ma anche nelle energie rinnovabili e nelle infrastrutture verdi, per un valore di oltre 11,8 miliardi di dollari.
Il commercio bilaterale tra la Cina e i Paesi del Golfo (GCC) ha raggiunto nel 2023 un volume complessivo di 297,9 miliardi di dollari, con esportazioni del GCC verso la Cina pari a 158,3 miliardi, di cui quasi il 90% costituito da idrocarburi. Pechino è ormai il principale partner commerciale dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, ma anche un attore sempre più attivo nel finanziamento di progetti infrastrutturali, smart cities e parchi industriali, in linea con le strategie di diversificazione economica promosse da Riyadh e Abu Dhabi.
Israele, dal canto suo, rappresenta per la Cina un laboratorio tecnologico di grande valore. Nel 2024, l’import israeliano di prodotti cinesi ha raggiunto 13,5 miliardi di dollari, mentre le esportazioni verso la Cina si sono attestate attorno ai 2,7 miliardi. Il China-Israel Cooperation Program for Industrial R&D finanzia ogni anno decine di progetti congiunti, e il Changzhou Innovation Park, nella provincia di Jiangsu, ospita oltre 230 imprese israeliane o joint venture attive nei campi della cybersecurity, delle biotecnologie e dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, le restrizioni imposte da Washington all’export di tecnologie sensibili continuano a frenare l’espansione di questa cooperazione.
L’Iran, infine, pur avendo firmato con Pechino un accordo di cooperazione venticinquennale nel 2021, rimane un partner secondario. Le sanzioni internazionali e l’instabilità interna limitano l’effettiva implementazione dei progetti previsti, facendo dell’Iran un’opzione di diversificazione strategica più che un pilastro dell’impegno cinese nella regione.
Le sfide della diplomazia cinese in Medio Oriente
Il principale banco di prova per la politica cinese sarà la capacità di gestire le contraddizioni interne alla regione. Il perdurante antagonismo tra Israele e Iran rappresenta una minaccia diretta alla stabilità necessaria per garantire i flussi energetici e la realizzazione dei progetti infrastrutturali. Pechino dovrà trovare un equilibrio delicato: mantenere relazioni funzionali con Teheran senza compromettere le opportunità di collaborazione con Israele.
Al tempo stesso, la Cina si trova a dover rispondere alla percezione di essere un attore “economico ma non politico”. Sebbene il suo ruolo di partner commerciale e investitore sia ormai consolidato, manca ancora una proiezione di influenza politica capace di trasformare la presenza economica in leadership regionale. Questo limite rischia di rafforzare l’immagine di Pechino come potenza cauta, interessata soprattutto al profitto e poco incline ad assumersi responsabilità nei dossier di sicurezza.Il futuro della politica cinese in Medio Oriente dipenderà dunque dalla capacità di superare questa ambivalenza. Da un lato, preservare il pragmatismo e la neutralità che hanno finora permesso di costruire relazioni con tutti gli attori; dall’altro, dimostrare di poter offrire un contributo stabile anche sul piano politico e diplomatico. Solo così Pechino potrà consolidare la sua trasformazione da semplice partner economico a vero attore strategico nella regione.
Naziha Mossa per Geopolitica.info
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