di Francesco Damato
A funerali di Stato – non dello Stato, secondo la formula denigratoria del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio – conclusi come meglio non si poteva prevedere per il bagno di folla dell’estinto, si può dire con tutta tranquillità che i veri vedovi di Silvio Berlusconi, pur comprendendo e condividendo il dolore di familiari e amici, sono i suoi avversari. Ai quali è venuto a mancare il pretesto per sostituire i loro vuoti di idee e programmi col fango da rovesciare in quantità industriale contro l’ex presidente del Consiglio. Cui non è mai stato perdonato di avere sconfitto quella famosa e “giocosa macchina da guerra” allestita da Achille Occhetto nel 1994 per consegnare il Paese ad una sinistra che di comunista aveva perso solo il nome, non la nomenclatura e la militanza.
Fu una macchina portata in pista a meno di due anni dalle precedenti elezioni, del 5 e 6 aprile 1992, grazie alla disponibilità di un presidente del Consiglio – Carlo Azeglio Ciampi – dipendente dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e dello stesso Scalfaro. Che negò clamorosamente udienza al capogruppo democristiano della Camera, il compianto Gerardo Bianco, che voleva solo dimostrargli, con i numeri ben scritti su un foglietto di carta, che il governo avrebbe potuto continuare a disporre di una maggioranza anche senza i comunisti, o ex o post. Che d’altronde se ne erano già andati dall’esecutivo Ciampi quasi nello stesso giorno del giuramento per la mancata concessione a scrutinio segreto, a Montecitorio, di tutte le autorizzazioni chieste dalla magistratura per processare a tamburo battente Bettino Craxi: il capro espiatorio della diffusissima e notissima pratica del finanziamento irregolare – pardon, illegale – dei partiti e, più in generale, della politica.
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