Anno IX - Numero 12
La guerra non è mai un atto isolato.
Carl von Clausewitz

martedì 3 settembre 2019

Il taglio dei parlamentari non serve

Non sarà una riforma “tagliapoltrone”, demagogica a partire dal nome, a riavvicinare gli italiani a un’idea di politica vicina alla loro quotidianità. Al contrario, per non voler pagare i costi della politica il rischio anche questa volta sarà di dover pagare ancora più salato il costo dell’antipolitica

di Federica D'Alessio

Tra i temi centrali dell’ultima crisi di governo, oltre agli scontri legati al ritorno di Giuseppe Conte alla Presidenza del Consiglio, c’è la votazione della proposta di legge del M5S relativa al taglio del numero dei parlamentari. Il “tagliapoltrone”, come l’ha ribattezzato Luigi Di Maio, ha già affrontato un lungo iter legislativo e dopo l’approvazione dell’11 luglio in Senato, aspetta il passaggio finale alla Camera. La votazione, programmata per il prossimo 9 settembre, è adesso in sospeso a causa delle dimissioni di Conte. Sia gli ex alleati dei Cinque stelle, come Matteo Salvini, sia gli ex avversari, come Matteo Renzi, hanno reso noto nei giorni scorsi che per non dover tornare a tutti i costi al voto e per cementare una nuova alleanza, appoggiare il taglio dei parlamentari è una buona idea.

Luigi Di Maio ne ha fatto una bandiera programmatica irrinunciabile: va fatto perché “gli italiani lo vogliono”, per tagliare i costi della politica. Ormai da tanti anni, la ricerca del consenso dell’elettorato passa per misure che cavalcano questa tesi: la politica costa, la politica è avida e bisogna ridurne i costi. Secondo il M5S, il taglio drastico dei parlamentari comporterebbe un risparmio di circa 500 milioni di euro ogni legislatura, in media 100 ogni anno. Ma questo risparmio è una scelta giusta? Quando si parla di riduzione dei costi della sanità, della scuola o della giustizia, la maggior parte delle persone intuisce che tagliare significa ridurre i servizi offerti ai cittadini. Quando si parla di limitare le spese della rappresentanza politica, invece, non c’è l’abitudine a chiedersi se non si sta sabotando il funzionamento stesso di una democrazia sana.

Attualmente, l’Italia possiede uno dei tassi di rappresentanza – il rapporto fra numero dei parlamentari e numero di cittadini – più bassi dell’Unione europea per quanto riguarda la Camera dei Deputati. Con l’approvazione della riforma “tagliapoltrone” diventerebbe ultimo Paese in Europa per tasso di rappresentanza alla Camera e penultimo per quello dei senatori: avremmo infatti meno di un deputato ogni 150mila abitanti e meno di un senatore ogni 300mila. L’idea di tagliare drasticamente il numero dei parlamentari non è originale: anche la riforma costituzionale sponsorizzata da Matteo Renzi si basava sull’idea che i rappresentanti politici, invece che una risorsa di democrazia, fossero una zavorra di cui liberarsi. Il progetto di Renzi era motivato anche dal “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni” e prevedeva di smontare la dinamica bicamerale – avvertita spesso come ridondante e ormai anacronistica – e quindi il ruolo del Senato, che sarebbe diventato un organo di raccordo fra lo Stato e le rappresentanze territoriali, ridotto a soli 100 componenti. Contestualmente, il progetto prevedeva l’abolizione definitiva delle Province e del Cnel.

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