Anno IX - Numero 12
La guerra non è mai un atto isolato.
Carl von Clausewitz

martedì 12 febbraio 2019

Guida a una corretta analisi costi-benefici

L’analisi costi benefici rischia di rimanere vittima del dibattito sulla Tav. Invece è una tecnica da rafforzare perché cruciale nel valutare un progetto. Nel primo di due articoli alcune considerazioni di carattere generale sui fattori da considerare

di Tatiana Cini, Giuseppe Siciliano e Roberto Zucchetti*

Un’analisi da rafforzare
Siamo professionisti che utilizzano l’analisi costi benefici. Per questo siamo preoccupati che possa uscire totalmente squalificata dalle vicende legate alla Tav: una tecnica con la quale chiunque può dimostrare una cosa e il suo contrario.
Che impostazioni metodologiche diverse e parametri diversi portino a risultati diversi è cosa nota: fin dal 2008, perciò, la Commissione europea ha elaborato linee guida, divenute più articolate e obbligatorie nel 2014. Anche il ministero delle Infrastrutture, per gli stessi motivi, ne ha emesse di proprie, coerenti con quelle europee. Seguire queste indicazioni ha vari vantaggi: rende comparabili i risultati e riduce le possibilità di manipolare lo strumento; dunque nella nostra pratica professionale ci atteniamo strettamente a esse.

Le nostre riflessioni vogliono essere un contributo per rafforzare questo genere di analisi e le abbiamo organizzate in due contributi: il primo sugli aspetti più generali e il secondo su alcune questioni più specifiche quali il trattamento delle accise, dei pedaggi e l’applicazione della regola della metà.

Analisi costi benefici è analisi finanziaria più analisi economica
L’analisi costi benefici si compone di due parti e non solo di una. L’analisi finanziaria, che analizza i flussi di cassa, cioè gli spostamenti di denaro, e che guarda il progetto da un’ottica particolare, in genere quella del promotore, ma che può anche essere quella dei diversi stakeholder, tra cui lo stato. È in questa parte di analisi che devono trovare adeguata rappresentazione e valutazione fenomeni come le variazioni del fatturato delle imprese (per esempio, autostrade o ferrovie) o del gettito fiscale.
Una seconda parte è l’analisi economica, che prescinde dai flussi monetari e contabilizza i “costi” e i “benefici”: guarda il progetto nell’ottica dell’intera comunità di riferimento, trascurando gli effetti di redistribuzione prodotti dal progetto, già messi in evidenza nell’analisi finanziaria.

I “costi” non sono le “spese”
I “costi” non sono le “spese”: sono il consumo di risorse scarse sottratte a un uso alternativo. C’è una complessa metodologia per valutare i costi a partire dalle spese: queste vanno depurate da ciò che non è consumo di risorsa, come le tariffe o le imposte (che semplicemente trasferiscono una somma tra due soggetti della comunità), ma anche dagli effetti distorsivi che le imperfezioni del mercato possono causare nel sistema dei prezzi. Se il progetto trasferisce una parte di traffico da un modo all’altro, sarà necessario contabilizzare con cura le variazioni di consumo di risorse che avvengono in entrambi i modi.

La valutazione dei benefici
Ben più complessa è la valutazione dei “benefici”, cioè dell’utilità che i vari soggetti della comunità complessivamente ottengono dalla realizzazione del progetto. Poiché l’analisi usa come metrica la moneta, tutti gli effetti devono essere espressi in valuta: ciò è più facile per i beni e servizi trattati nel mercato, che hanno un prezzo rilevabile; più difficile per gli effetti non di mercato, come molte esternalità. Si usa quindi la “disponibilità a pagare” quale indicatore indiretto del beneficio (per valutare quanto sia fastidioso il rumore, utilizziamo la spesa che viene affrontata per ridurlo). Il passaggio comporta innanzitutto una grave semplificazione: presuppone infatti che tutti i soggetti della comunità abbiamo la stessa capacità di spesa. Ciò però non è ovviamente vero. Nel dibattito sull’analisi costi benefici della Tav, si è detto che i sussidi pubblici portano a scelte inefficienti. Può essere vero, se sono assegnati in modo errato, tuttavia la loro motivazione corretta è proprio “compensare” la diseguale capacità di spesa, rendendo accessibili servizi essenziali o utili, come il trasporto, a chi non ha sufficiente disponibilità economica.

Preferenze rivelate e comunicate
Accettata la semplificazione di usare la disponibilità a pagare come indicatore dell’utilità, ci troviamo di fronte al problema di come misurarla. Qui le vie, chiaramente indicate dalla metodologia, sono due: le “preferenze rivelate” (revealed preference) e le “preferenze comunicate” (stated preference). Nel primo caso, deduciamo dal comportamento di un soggetto il valore che esso attribuisce all’azione: spende 100 per muoversi, l’utilità che ne ricava è maggiore di 100, ma potrebbe essere 200 o 1.000. Se vogliamo saperlo, dobbiamo andare a chiederglielo, con indagini dirette che sottopongono all’intervistato diverse alternative e gli chiedono di scegliere (“preferenze comunicate”).
Le preferenze rivelate si possono usare con una certa affidabilità nelle indagini a posteriori: il progetto modifica i comportamenti e questi rivelano l’utilità che gli attori ne ricavano. Ben più aleatorio è il loro impiego nelle indagini a priori: qui la “rivelazione” non deriva da una osservazione (il fenomeno non è ancora avvenuto), ma dalla previsione di comportamento fatta da un modello di simulazione, il quale, tuttavia, funziona secondo le regole definite dal valutatore. Si tratta quindi di un processo più semplice da realizzare, ma anche più manipolabile e aleatorio. Se, quindi, l’analisi ha uno scopo limitato, come ad esempio scegliere tra un certo numero di progetti simili che chiedono un finanziamento, la semplificazione può essere accettata. In casi più complessi, come ad esempio decidere se aprire un contenzioso miliardario con la Francia e l’Unione europea, la “semplificazione”, a nostro avviso, non può essere accettata e occorre svolgere indagini dirette sul campo.
In generale, un approccio economico richiede di non affidarsi unicamente ai modelli di assegnazione del traffico. Per fare un esempio, in questi modelli il tempo di viaggio è sempre un “costo”, mentre sappiamo che, soprattutto negli spostamenti che hanno motivi diversi dal lavoro, il viaggio stesso può essere lo scopo e quindi fonte del “piacere”: non si spiegherebbe altrimenti il comportamento di chi percorre a piedi il cammino di Compostela.

Tatiana Cini, Giuseppe Siciliano e Roberto Zucchetti per Lavoce.info

*Gli autori svolgono abitualmente analisi costi benefici nell’ambito dell’assistenza tecnica fornita per la richiesta di finanziamenti europei, in particolare sul programma Cef, principalmente per porti, centri intermodali, ferrovie e vie d’acqua interne. Roberto Zucchetti ha collaborato con il Commissario straordinario per la Torino-Lione dal 2015 al 2018.