di Oliver Burkeman
Per quelli che crescono in quest’epoca del “chi vince prende tutto”, nella quale un indiscutibile successo sembra essere l’unica alternativa all’indigenza, il perfezionismo è un difetto assolutamente perdonabile. Ma resta comunque un difetto. Quelli che ancora lo difendono sembrano interpretarlo come un “continuo impegno a migliorarsi”, ma in realtà è una cosa molto diversa, perché implica la convinzione che tutto quello che non è il meglio è un vergognoso fallimento. È la ricetta ideale per essere sempre insoddisfatti dei propri risultati, o peggio ancora, come sostengono alcuni studi, un vero e proprio ostacolo al successo.
Il modo più comune di combattere il perfezionismo, che si basa sullo stoicismo e sulla terapia cognitivo-comportamentale, è aiutare chi ne soffre a capire che i suoi timori sono eccessivi, che se non riesce a superare un esame, se qualcuno critica il suo lavoro o la sua casa è in disordine non è una tragedia (questa è la logica alla base del saggio consiglio della psicologa Jessica Pryor: scegli un aspetto della tua vita non eccessivamente importante, come l’ordine in casa, e prova a rinunciare al perfezionismo in quel campo. Poi potrai estendere l’esperimento ad altri aspetti della tua vita).
Il perfezionista è costantemente angosciato per il futuro, perché per quanto bene superi una prova, ce n’è sempre un’altra di cui preoccuparsi. Perciò è giusto aiutarlo a capire che, quando arriverà la prossima sfida, anche se non raggiungerà la perfezione non sarà una catastrofe.
Il problema, però, è che resta comunque una prospettiva orientata verso il futuro. Certo, ci aiuta a preoccuparci di meno di quello che succederà se la prossima settimana, o l’anno prossimo, non raggiungeremo gli standard altissimi che ci siamo prefissi. Ma consente alla subdola mente del perfezionista, lo so per esperienza, di continuare segretamente a sperare che quando arriverà quel momento, farà tutto in modo perfetto. E quindi, probabilmente, un antidoto migliore al perfezionismo sarebbe rendersi conto che è già troppo tardi.
Per quelli che crescono in quest’epoca del “chi vince prende tutto”, nella quale un indiscutibile successo sembra essere l’unica alternativa all’indigenza, il perfezionismo è un difetto assolutamente perdonabile. Ma resta comunque un difetto. Quelli che ancora lo difendono sembrano interpretarlo come un “continuo impegno a migliorarsi”, ma in realtà è una cosa molto diversa, perché implica la convinzione che tutto quello che non è il meglio è un vergognoso fallimento. È la ricetta ideale per essere sempre insoddisfatti dei propri risultati, o peggio ancora, come sostengono alcuni studi, un vero e proprio ostacolo al successo.
Il modo più comune di combattere il perfezionismo, che si basa sullo stoicismo e sulla terapia cognitivo-comportamentale, è aiutare chi ne soffre a capire che i suoi timori sono eccessivi, che se non riesce a superare un esame, se qualcuno critica il suo lavoro o la sua casa è in disordine non è una tragedia (questa è la logica alla base del saggio consiglio della psicologa Jessica Pryor: scegli un aspetto della tua vita non eccessivamente importante, come l’ordine in casa, e prova a rinunciare al perfezionismo in quel campo. Poi potrai estendere l’esperimento ad altri aspetti della tua vita).
Il perfezionista è costantemente angosciato per il futuro, perché per quanto bene superi una prova, ce n’è sempre un’altra di cui preoccuparsi. Perciò è giusto aiutarlo a capire che, quando arriverà la prossima sfida, anche se non raggiungerà la perfezione non sarà una catastrofe.
Il problema, però, è che resta comunque una prospettiva orientata verso il futuro. Certo, ci aiuta a preoccuparci di meno di quello che succederà se la prossima settimana, o l’anno prossimo, non raggiungeremo gli standard altissimi che ci siamo prefissi. Ma consente alla subdola mente del perfezionista, lo so per esperienza, di continuare segretamente a sperare che quando arriverà quel momento, farà tutto in modo perfetto. E quindi, probabilmente, un antidoto migliore al perfezionismo sarebbe rendersi conto che è già troppo tardi.
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