di Massimo Mantellini
Si tratterà di un linguaggio che non assomiglierà a nient’altro. Sarà vecchissimo, in un certo senso, per l’adesione sotterranea a certe questioni formali oggi ovunque ridicolizzate. La gentilezza, per esempio. La calma, per esempio. Sarà invece moderno, per la sua pretesa di essere inclusivo senza essere tecnico, perché proverà a chiamare le cose con un nome, fuori da certe ellissi dialettiche della vecchia politica di un tempo. Ma – dovessi dire – io penso, prima di tutto, gentile: fermo e gentile.
La traiettoria discendente del linguaggio della politica è un tratto contemporaneo di questo Paese. Comprende tutti e non salva nessuno.
Per rimanere agli ultimi anni, quelli della sua velocità, prende spunto forse dall’ambigua sovrapposizione fra i vaffanculo del Grillo comico e del Grillo politico, attraversa il poetare provinciale di Nichi Vendola, giganteggia nel Renzi rottamatore e nella culona inchiavabile di un Silvio Berlusconi ossesionato dal sesso e dalla voglia di stupire.
La sua presunta efficacia prevede l’utilizzo costante di metafore calcistiche, che tanto piacciono agli italiani, ma anche il tragicomico metterci la faccia o l’autolesionista non indietreggiare di un millimetro. Piccoli sfumati segni del ventennio che timidamente ricompare.
Quello stesso linguaggio esclude qualsiasi collusione col nemico, le cui posizioni, su qualsiasi tema, economico, sociale o culturale, saranno sempre e comunque sbagliate e condannabili, perché il linguaggio serve una causa interiore, che basta a sé stessa e ignora per sua stessa essenza fatti e intelligenze. Nel parlamento italiano di Aldo Palazzeschi
Grandi tumulti a Montecitorio.
Il presidente pronunciò fiere parole.
Tumulto a sinistra, tumulto a destra“.
il consesso degli eletti, da destra a sinistra, si riunirà in una sola voce solo raramente, su questioni moraleggianti e senza ricadute pratiche (come per esempio il rifiuto della violenza di cui quello stesso linguaggio è padre putativo).
Il pane al pane del linguaggio della politica forse non è che un segno, ma potrebbe spesso essere considerato una causa: in ogni caso genera l’effetto inevitabile di trasformare chiunque, anche il laconico Beppe Sala, in un rottweiler da combattimento, magari sfiatato e senza convinzione, ma pur sempre troneggiante nell’arena.
Se anche il colletto bianco a un certo punto pubblicamente si rompe le palle, se Berlusconi accennava senza imbarazzi agli elettori dando loro dei coglioni, se Di Battista chiama i giornalisti puttane e Salvini sonda l’intero dizionario 5 volte al giorno alla ricerca di metafore cafone da pubblicare sui social, allora forse il linguaggio, domani, potrà diventare un segno.
Forse, domani, tutti quanti, giovani e vecchi, ci stancheremo di una tale miseria intellettuale, la pianteremo di dare credito a gente senza gentilezza (la gentilezza per tutti costoro nessuno escluso è un disvalore, la politica come battaglia), essendo gente che non arretra di un millimetro, che ci mette la faccia, che dichiara di proseguire pancia a terra.
Forse domani, tutti quanti, giovani e vecchi, ci stancheremo di questa folta schiera di politici pancia a terra e l’unica pancia a terra che potremo tollerare sarà quella di un vecchio poeta americano sulla tomba di un bambino:
The only response
to a child’s grave is
to lie down before it and play dead
Forse.
Si tratterà di un linguaggio che non assomiglierà a nient’altro. Sarà vecchissimo, in un certo senso, per l’adesione sotterranea a certe questioni formali oggi ovunque ridicolizzate. La gentilezza, per esempio. La calma, per esempio. Sarà invece moderno, per la sua pretesa di essere inclusivo senza essere tecnico, perché proverà a chiamare le cose con un nome, fuori da certe ellissi dialettiche della vecchia politica di un tempo. Ma – dovessi dire – io penso, prima di tutto, gentile: fermo e gentile.
La traiettoria discendente del linguaggio della politica è un tratto contemporaneo di questo Paese. Comprende tutti e non salva nessuno.
Per rimanere agli ultimi anni, quelli della sua velocità, prende spunto forse dall’ambigua sovrapposizione fra i vaffanculo del Grillo comico e del Grillo politico, attraversa il poetare provinciale di Nichi Vendola, giganteggia nel Renzi rottamatore e nella culona inchiavabile di un Silvio Berlusconi ossesionato dal sesso e dalla voglia di stupire.
La sua presunta efficacia prevede l’utilizzo costante di metafore calcistiche, che tanto piacciono agli italiani, ma anche il tragicomico metterci la faccia o l’autolesionista non indietreggiare di un millimetro. Piccoli sfumati segni del ventennio che timidamente ricompare.
Quello stesso linguaggio esclude qualsiasi collusione col nemico, le cui posizioni, su qualsiasi tema, economico, sociale o culturale, saranno sempre e comunque sbagliate e condannabili, perché il linguaggio serve una causa interiore, che basta a sé stessa e ignora per sua stessa essenza fatti e intelligenze. Nel parlamento italiano di Aldo Palazzeschi
Grandi tumulti a Montecitorio.
Il presidente pronunciò fiere parole.
Tumulto a sinistra, tumulto a destra“.
il consesso degli eletti, da destra a sinistra, si riunirà in una sola voce solo raramente, su questioni moraleggianti e senza ricadute pratiche (come per esempio il rifiuto della violenza di cui quello stesso linguaggio è padre putativo).
Il pane al pane del linguaggio della politica forse non è che un segno, ma potrebbe spesso essere considerato una causa: in ogni caso genera l’effetto inevitabile di trasformare chiunque, anche il laconico Beppe Sala, in un rottweiler da combattimento, magari sfiatato e senza convinzione, ma pur sempre troneggiante nell’arena.
Se anche il colletto bianco a un certo punto pubblicamente si rompe le palle, se Berlusconi accennava senza imbarazzi agli elettori dando loro dei coglioni, se Di Battista chiama i giornalisti puttane e Salvini sonda l’intero dizionario 5 volte al giorno alla ricerca di metafore cafone da pubblicare sui social, allora forse il linguaggio, domani, potrà diventare un segno.
Forse, domani, tutti quanti, giovani e vecchi, ci stancheremo di una tale miseria intellettuale, la pianteremo di dare credito a gente senza gentilezza (la gentilezza per tutti costoro nessuno escluso è un disvalore, la politica come battaglia), essendo gente che non arretra di un millimetro, che ci mette la faccia, che dichiara di proseguire pancia a terra.
Forse domani, tutti quanti, giovani e vecchi, ci stancheremo di questa folta schiera di politici pancia a terra e l’unica pancia a terra che potremo tollerare sarà quella di un vecchio poeta americano sulla tomba di un bambino:
The only response
to a child’s grave is
to lie down before it and play dead
Forse.