Anno IX - Numero 10
Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci.
Eleanor Roosevelt

martedì 17 aprile 2018

Quando svalutammo la moneta per svalutare i salari

La crisi dello Sme del 1992 si concluse con l’abbandono dell’accordo di cambio da parte dell’Italia e della Gran Bretagna. Su questo evento e sui suoi effetti i “noeuro” hanno costruito un mito non corrispondente alla realtà, perché non si innescò nessuna spirale inflattiva e la svalutazione fu pagata dai lavoratori. Non è vero quanto afferma l’adagio noeuro secondo cui “o si svaluta la moneta o si svalutano i salari”, piuttosto è vero che “si svaluta la moneta per svalutare i salari”

di Andrea Sbarile

La crisi dello Sme
I luoghi comuni nel dibattito economico sono molto frequenti, come anche le interpretazioni pro domo sua dei fenomeni storici. La crisi del Sistema Monetario Europeo (SME) del settembre 1992, quando la lira e la sterlina britannica furono soggette a un forte attacco speculativo e, a causa di ciò, lasciarono l’accordo di cambio e si svalutarono, è stata spesso oggetto di interpretazioni parziali da parte dei cosiddetti “noeuro”.



Tasso di cambio nominale effettivo della lira

La crisi che si verificò alla fine del 1992 fu da manuale, poiché rispondeva alla cosiddetta “crisi valutaria di prima generazione” di Krugman (1979): quando un paese, in presenza di divergenze tra i suoi fondamentali e il tasso di cambio, tenta di mantenere quest’ultimo coprendo i disavanzi tramite riserve, nella mente degli speculatori si forma un “tasso ombra”, ovvero il valore del tasso di cambio qualora fosse lasciato libero di fluttuare. Inizialmente, i disavanzi vengono coperti da riserve valutarie della banca centrale, finché l’intensificarsi della speculazione azzera le riserve costringendo il paese a svalutare. Eichengreen e Wyplosz in The unstable EMS ipotizzano anche una componente delle crisi di seconda generazione (basate su aspettative autorealizzatesi), ma non è un’opinione universalmente accettata.

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