Anno IX - Numero 10
Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci.
Eleanor Roosevelt

martedì 27 marzo 2018

La Svizzera è avanti perché è rimasta al Medioevo

Nel cuore dell'Europa pulsa l'esempio di una società che ha sempre rigettato con successo il mito giacobino del potere centralizzato

di Carlo Lottieri

Una tra le frasi più celebri della storia del cinema contrappone l'Italia e la Svizzera. Ne Il terzo uomo diretto da Carol Reed alla fine degli anni Quaranta, Orson Welles afferma: «Sai che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù».

L'ironia è efficace e, per certi aspetti, sembra preservare una qualche attualità.
Osservata da lontano, la Confederazione appare in effetti tanto tranquillizzante quanto noiosa, tanto ricca e bene ordinata quanto conformista e soporifera. A ben guardare, però, quella contrapposizione tra la nostra vivacità e il loro supposto torpore è più apparente che reale. Nel Rinascimento non c'era confronto tra noi e loro, ma oggi è tutta un'altra storia.

Sotto molti punti di vista, la società elvetica è ora incredibilmente ricca e dinamica. Si pensi alla qualità di università, ospedali e servizi alla persona, oltre che al reddito pro capite e alle opportunità lavorative (nella chimica, nella finanza e in vari altri ambiti) che è in grado di offrire: anche a molte decine di migliaia di frontalieri comaschi e varesini. Questo si deve a una serie di ragioni, in qualche modo tutte riconducibili - nella lettura che della Svizzera ha dato lo storico inglese Jonathan Steinberg - al fatto che qui più che altrove l'Europa è riuscita a preservare le proprie radici medievali.

La modernità statale ha investito la Svizzera meno di quanto non abbia cambiato il resto del Vecchio Continente, e così nel mondo dei cantoni il potere non è accentrato, pervasivo e oppressivo quanto nel resto dell'Occidente. A Ginevra e San Gallo, a Zurigo e Lugano, lo Stato è giunto tardi e sempre in maniera alquanto imperfetta, così che individui e comunità sono stati in grado di preservare la loro originaria vitalità.

Un tempo, tutta l'Europa era in qualche modo "elvetica". Durante l'età medievale il potere era assai localizzato e assumeva le forme più diverse. Nella Cristianità che ha preceduto Umanesimo e Rinascimento vi erano istituzioni di ogni tipo: c'erano l'Impero e la Chiesa, ma vi erano anche feudatari e comuni rurali, città libere e monasteri, corporazioni e associazioni di comuni mercantili (si pensi alla Lega Anseatica). Oggi ci sorprende il localismo della Svizzera, che conta solo 8 milioni di abitanti ed è più piccola della Lombardia, ma è divisa in 26 tra cantoni e semicantoni. Eppure lo scenario medievale era proprio caratterizzato da un'analoga molteplicità di realtà autonome.

Se la società svizzera è tanto diversa da quelle che la circondano, lo si deve al fatto che una serie di circostanze hanno qui ostacolato i processi di unificazione che hanno segnato la Francia, vera patria dello Stato moderno, e poi anche tante altre realtà europee che ne hanno seguito le orme. Mentre Provenza, Alsazia e Bretagna sono state progressivamente "cancellate" entro un regime politico fortemente centralizzato, prima monarchico e poi repubblicano, in Svizzera la varietà delle lingue, delle sensibilità e delle culture è stata preservata da un assetto disperso del potere, che ha trovato alti ostacoli di fronte a sé.

Nell'universo dei cantoni
Le montagne hanno frenato l'avanzata del potere, garantendo le diverse realtà. E poi le pretese giacobine hanno dovuto fare i conti con un assetto linguistico e religioso che poco si prestava alla costruzione di una Nazione unitaria, immaginata quale surrogato di quel Dio cristiano che la modernità ha progressivamente detronizzato. Il Dio Stato elaborato a Parigi da teologi di palazzo e giuristi di corte non ha quindi mai trovato spazio tra le piccole comunità alpine alleatesi per la prima volta nel 1291.

Forse anche per questo, gli svizzeri, sia nelle aree cattoliche sia in quelle protestanti, sono riusciti a esprimere un mirabile pensiero teologico: articolato in voci tra loro tanto diverse. Perché l'universo dei cantoni, per restare all'ultimo secolo, ha dato al mondo Karl Barth e Hans Urs von Balthasar, Emil Brunner e Adrienne von Speyr, Romano Amerio e Hans Küng.

D'altra parte ancora oggi, in Svizzera si vota di continuo. La pratica della democrazia diretta è corrente: a ogni livello (federale, cantonale e comunale). Per giunta, in Svizzera si è chiamati a dire la propria su tutto, anche su tasse e relazioni internazionali. Con una decisione maggioritaria si possono non solo abrogare norme di legge, ma anche inserirne di nuove.

Da dove proviene tutto ciò? Si capisce poco della Svizzera se non si ha presente che il suo spirito è maturato, fin dall'età medievale, nelle assemblee che riunivano i capifamiglia di ogni piccolo territorio: in quelle riunioni chiamate a gestire con decisione pubblica l'amministrazione delle acque, delle foreste, dei pascoli e di altri beni comuni. La comunità locale si è strutturata attorno a proprietà condivise e, a partire da qui, ha saputo anche elaborare meccanismi di tutela della comunità: che ovunque ha bisogno di armi che la proteggano e di giudici che limitino l'iniquità e favoriscano la concordia sociale. Lo spazio pubblico svizzero ha poco a che fare con l'individuo statizzato di Thomas Hobbes, il quale cancella ogni realtà si frapponga tra i singoli isolati e il Leviatano onnipotente. Le comunità elvetiche sono invece associazioni di comunità: esse riuniscono in piazza quei "fuochi" (focolari) che già rappresentano piccole istituzioni politiche indipendenti e gelose della loro libertà. Questo si vede molto bene in quella che forse è la Svizzera più elvetica, i Grigioni, dove per secoli si è avuta una struttura istituzionale fatta di leghe di leghe: un sistema associativo tradizionale che potrebbe far venire alla mente talune teorizzazioni radicali di Thomas Jefferson.

L'aspirazione di ogni liberale
Questa società forte, che oltre a poteri minuscoli e vicini ai cittadini ha saputo preservare spazio per chiese e altre forme di vita associata, ha garantito molta più libertà anche ai singoli. E sul piano fiscale è proprio la complessa articolazione competitiva della Svizzera che oggi impedisce al ceto politico di spremere famiglie e imprese come avviene nel resto d'Europa.
In Svizzera sembra davvero prendere forma l'aspirazione di ogni liberale: l'idea che la libertà si protegga solo grazie a una concorrenza istituzionale che ci permette di optare tra questa o quella giurisdizione e, in tal modo, obbliga i governanti a limitare le loro ambizioni di dominio.

La Svizzera ha pure tratto grande beneficio dall'aver potuto evitare le due guerre mondiali del Novecento. Questo è avvenuto perché, soprattutto a seguito della Riforma, nelle piccole comunità alpine hanno compreso come non fosse possibile schierarsi all'interno di questa o quell'alleanza armata senza far venire meno la solidarietà del patto prima sottoscritto sul Grütli dalle tre comunità originarie e poi confermato da nuove adesioni. Quando in Europa protestanti e cattolici si uccidevano, in Svizzera sono stati costretti ad adottare una linea di rigorosa indipendenza.

L'opposizione è il popolo
Non bastasse questo, la Svizzera è divisa tra francofoni e germanofoni (con una piccola realtà italofona e una davvero minuscola che parla romancio), tra cittadini e contadini, tra progressisti e conservatori. Queste profonde fratture storiche hanno spinto, nel corso del tempo, ad adottare un modello di governo che noi chiameremmo consociativo, dato che nell'esecutivo di Berna siedono esponenti di destra, centro e sinistra: tutti obbligati a dialogare e costretti a evitare ogni estremismo.

Questo governo a larghissima maggioranza, sempre chiamato a ricercare compromessi e, di fatto, senza alcuna vera opposizione può evitare le peggiori conseguenze del consociativismo in virtù di un elemento cruciale dello scenario svizzero: la democrazia diretta. Tutti i partiti (Udc, liberali, socialisti e democristiani) governano insieme, ma l'opposizione c'è ed è incarnata dal popolo. Questo perché tutte le decisioni più importanti devono essere confermate dall'insieme degli elettori, che sono chiamati a esprimersi anche su questioni che, da lontano, potrebbero essere giudicate di poco conto.

Questa democrazia semidiretta basata su un governo consociativo e su costanti consultazioni elettorali finisce allora per contrapporre Berna e i cantoni, il governo e la società, i partiti e i cittadini. Quello spirito di resistenza che in Europa sembra ormai quasi ovunque assente, in Svizzera torna quindi spesso a dominare la scena pubblica: come avvenne, ad esempio, quando contro la volontà del proprio ceto dirigente (politico e no) la maggioranza dei cantoni e dei cittadini bocciò l'adesione della Svizzera allo Spazio economico europeo: primo passo verso un'integrazione tra Confederazione e Unione Europea.

Un'eccezione preziosa
Sotto vari aspetti, la Svizzera è un'eccezione. Fuori dall'Europa e dalla Nato, restia a sposare l'alta tassazione del Vecchio Continente e spesso recalcitrante a negare tutta una serie di libertà storicamente consolidate (solo la protervia delle potenze esterne l'ha obbligata ad abbandonare il segreto bancario), la Confederazione è un'area di libertà basata su una formidabile articolazione territoriale dei poteri e su una forte responsabilizzazione di ogni livello istituzionale.

Quando comuni e cantoni devono vivere di risorse proprie e possono variare il livello delle imposte (modificando l'offerta dei servizi offerti ai cittadini), non è sorprendente che si assista a un maggiore rispetto dei soldi estorti con l'imposizione fiscale. In terra, paradisi non ce ne sono, ma in questo piccolo lembo d'Europa la società è rimasta più solida e l'economia più dinamica perché il mito prefettizio e giacobino del potere centrale è stato sempre rigettato con successo. La dispersione istituzionale dei poteri che aveva caratterizzato l'età medievale non è scomparsa, anche se - ovviamente - è stata ampiamente ridefinita e riformulata. Per quanti si trovano a sud di Chiasso, è chiaro che ci sarebbe molto da imparare.

Carlo Lottieri per Ibl, Istituto Bruno Leoni