Anno IX - Numero 10
Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci.
Eleanor Roosevelt

martedì 9 gennaio 2018

Chi guida contromano?

La favoletta corrente sull’Eurozona è radicalmente viziata, perché si basa sull’interpretazione unilaterale di un comune fenomeno economico: l’aggiustamento di un prezzo relativo. I tassi di cambio sono prezzi relativi: il costo di una valuta rispetto a un’altra valuta. Che questo aggiustamento sia una rivalutazione o una svalutazione dipende ampiamente dal punto di vista

di Alberto Bagnai

Cominciamo da una nota barzelletta: un vecchietto guida sul Grande Raccordo Anulare di Roma, ascoltando la radio, quando la musica viene interrotta da un’allerta sul traffico: “Un’auto sta guidando contromano sul Raccordo, fate molta attenzione. La polizia sta accorrendo sul posto”. E il nostro anziano amico commenta: “Come, una macchina sola? Ma sono tantissime!”


Adesso, diamo uno sguardo al tweet di questo giornalista tedesco:




“Italia e Francia erano solite risolvere i loro problemi svalutando. Ora dovranno imparare a fare diversamente”. 
Prima di qualsiasi commento, guardiamo questo grafico, basato sui dati del PACIFIC Exchange Rate Services:






Sintesi: quando si tratta di economia, nei media ci sono bugiardi, giornalisti, e giornalisti tedeschi (sì, è un crescendo).

Segue disegnino, per quelli che ne hanno bisogno (sperando siano una minoranza sempre più ristretta).

La favoletta corrente sull’Eurozona è radicalmente viziata, perché si basa sull’interpretazione unilaterale di un comune fenomeno economico: l’aggiustamento di un prezzo relativo. I tassi di cambio sono prezzi relativi: il costo di una valuta rispetto a un’altra valuta. Che questo aggiustamento sia una rivalutazione o una svalutazione dipende ampiamente dal punto di vista. Non vorrei ora avventurarmi nell’affascinante campo di cosa sia un tasso di cambio di equilibrio e di come lo si stimi (ne abbiamo parlato un po' qui). Voglio solo osservare che una valuta non può svalutarsi se nessun’altra valuta si rivaluta: in altre parole, ogni svalutazione, vista dall’estero, è una rivalutazione, e viceversa. In termini puramente descrittivi, una svalutazione della lira rispetto al marco tedesco coincide con una rivalutazione del marco rispetto alla lira. Ogni singolo aggiustamento di un prezzo relativo può essere descritto in due modi opposti ma identici.


Non serve però aggiungere che quanto è ovvio in termini puramente descrittivi non necessariamente vale in termini economici.

Occorre un’attenta analisi delle forze economiche sottostanti per capire, ove possibile, quale sia fra, i due movimenti uguali e contrari, il motore dell'aggiustamento di prezzo, e quale delle due valute si stia avvicinando all'equilibrio, o se ne stia allontanando. Potrebbe essere che la valuta forte sia vicina all'equilibrio, mentre quella debole se ne allontani. Ma, a priori, è ugualmente probabile che la valuta forte sia lontana dal suo equilibrio, e la rivalutazione l'avvicini ad esso. Nel primo caso (chiamiamolo caso A), la svalutazione della valuta debole sposta anche quella forte lontano dell'equilibrio: quest'ultima in effetti si trova ad essere eccessivamente forte (penalizzando il paese che la adotta) perché la prima è stata resa artificialmente debole. Questa situazione quindi può effettivamente essere descritta come un tentativo di alterare la competitività attraverso un “dumping valutario” da parte del Paese più debole. Anche nel caso B si osserva una svalutazione della valuta debole, ma questa deriva dal movimento al rialzo della valuta forte per avvicinarsi al proprio equilibrio. In questo caso resistere all’aggiustamento equivarrebbe, per il paese più forte, a praticare un dumping valutario: invece di svalutare il cambio rispetto al valore di equilibrio, si impedirebbe a un cambio sottovalutato di rivalutare per tornare ad esso.

Ci possono, ovviamente, anche essere altri casi
Si dà il caso che l’intera narrazione della moneta unica europea e del suo preteso fondamento razionale ruoti intorno alla svalutazione delle monete deboli, e alla necessità di bloccarla per restaurare un ambiente sanamente competitivo. Nessuno però presta mai attenzione al suo complemento necessario, la rivalutazione delle valute forti. Siamo immersi nel “caso A”, e per far funzionare questo racconto, nascondendone la natura arbitrariamente unilaterale, è necessario che alla svalutazione venga associato un giudizio morale. Questo giudizio è riassunto da un singolo aggettivo: “competitiva”. Nella favola dell’Eurozona non sentirete mai la parola “svalutazione” senza l’aggettivo “competitiva”, a tal punto che, come sapete, ho coniato un neologismo: svalutazionecompetitiva. Enfatizzando il fatto che ogni svalutazione sia in effetti una svalutazionecompetitiva, i volenterosi narratori dell’Eurozona insinuano che le svalutazioni riflettano l’intento malvagio di governi perversi di alterare la competitività guidando artificialmente le loro valute (e di conseguenza quelle dei loro concorrenti) fuori dall’equilibrio. Insomma: un gombloddone dei paesi piccoli, sporchi, pigri e tanto invidiosi (signora mia!), contro il leale partner del nord. Nessuno sembra notare l'ovvio, ovvero che i paesi deboli sono appunto, per definizione, deboli, e che quindi il loro tasso di cambio è destinato a indebolirsi naturalmente: un aggiustamento che è molto più probabile rifletta il fisiologico operare delle forze di mercato, piuttosto che un malvagio complotto dei paesi viziosi, i quali, accantonando quanto li divide in termini di istituzioni, ciclo economico, interessi commerciali, strategie geopolitiche, retaggio culturale, deciderebbero, con singolare perizia ed efficacia (per dei cialtroni del Sud) di coordinarsi contro quelli virtuosi. In questo frame (nel senso di Lakoff), ignorare la parola “rivalutazione” offre un grande vantaggio retorico. Se ogni svalutazione è per definizione una vergognosa svalutazione competitiva, il suo opposto, la rivalutazione, dovrà essere glorioso. Si dà il caso, però, che tutti i paesi tendano a resistere all’apprezzamento delle proprie valute. Se i volenterosi narratori dell’Eurozona dovessero mai menzionare la rivalutazione, sarebbero costretti a spiegare perché nessuno voglia raggiungere una gloria immortale attraverso di essa.

Date queste premesse teoriche, torniamo a leggere il tweet del giornalista tedesco. Il suo senso è estremamente chiaro: Francia e Italia hanno alterato il mercato, danneggiando la Germania. In altre parole, i due maggiori partner dell’Eurozona hanno svalutato competitivamente le loro monete per anni (come da caso A), finché l’euro non ha impedito loro di trucccare le carte. Contro questo argomento potremmo sollevare molte obiezioni, e potremmo discutere per ore su come calcolare i tassi di cambio di equilibrio, ma per farla breve preferisco distinguere fra caso A e caso B applicando quella che potremmo definire la “regola del GRA” (Grande Raccordo Anulare).

I dati riportati nel grafico mostrano che nel corso dei decenni non solo le valute “deboli” dell’Eurozona (quelle menzionate dal tweet tedesco), ma più in generale le principali valute mondiali, inclusa l’ancora di fatto del non-sistema monetario globale (il dollaro) e la valuta del secondo centro finanziario globale (la sterlina), e anche quelle dei cosiddetti paesi “virtuosi” dell’Eurozona (ad esempio, il franco belga), hanno perso terreno rispetto al marco tedesco. L’interpretazione data dalla Germania di questa impressionante regolarità empirica è senza dubbio che, tranne lei, tutti stanno guidando contromano nel sistema monetario mondiale. In altre parole, secondo i tedeschi, piuttosto che la forza relativa dell’economia tedesca, i trend discendenti di tutte le maggiori valute mondiali rispetto al marco tedesco (e alla sua triste eredità) rifletterebbero una cospirazione globale contro la nazione ariana tedesca, lo sforzo coordinato degli altri paesi di svalutarecompetitivamente per fottere la Germania. Un atteggiamento che suona sinistramente familiare.

A me pare che, paradossalmente, argomentando in questo modo i giornalisti tedeschi minimizzino i meriti del loro paese. Per definizione, paesi forti devono avere monete forti (è il mercato, bellezza!). Accusando gli altri di indebolire artificiosamente le proprie valute, i volenterosi narratori dell’eurozona stanno in realtà negando la forza naturale della Germania. Un’altra interpretazione possibile è che essi cerchino di distogliere l’attenzione dei lettori dalle politiche praticate in Germania per guadagnare questo vantaggio competitivo. Indipendentemente dalle intenzioni, il suprematismo tedesco ha dimostrato di essere un vicolo cieco alcuni decenni fa e porterà di nuovo la Germania a una rovinosa sconfitta. Se tutte le valute hanno perso terreno rispetto a quella tedesca, è tempo di invertire la favoletta, riconoscendo che da decenni è la Germania che sta rivalutando rispetto al resto del mondo.

Dipingere l'agire delle forze di mercato come un complotto non migliora la comprensione dei fenomeni. Tuttavia, i volenterosi narratori dell’Eurozona persistono nella loro versione palesemente errata, nel raccontino del “caso A”, del dumping valutario da parte dei più deboli. Una simile ottusa visione unilaterale non è razionale: è puramente etnica. E allora lasciamo che la storia segua il suo corso, meglio prima che dopo, e tanto peggio se sarà crudele. Per la terza volta in un secolo, il resto del mondo dovrà cooperare per restituire alla leadership tedesca un minimo di buon senso. Con le buone maniere (o con una guerra mondiale) si ottiene tutto.

Nel frattempo, dobbiamo cominciare a dirlo forte e chiaro: i dati mostrano che l’economia della Germania non può sostenere la leale competizione del resto del mondo senza praticare qualche forma di dumping.

Il dumping valutario, ottenuto progettando un sistema che impedisce la rivalutazione della valuta tedesca verso il proprio equilibrio (il che equivale a produrra una continua svalutazionecompetitiva), è solo l’esempio più evidente. Ma ce ne sono molti altri: dumping tecnologico (pensiamo allo scandalo Volkswagen), dumping ecologico (pensiamo alla Germania che inquina spregiudicatamente il resto d’Europa con il suo carbone), dumping regolatorio (pensiamo alle regole di sorveglianza europee, fatte su misura per nascondere la grande quantità di crediti spazzatura nelle piccole banche tedesche). Per far sì che l’economia globale funzioni, tutto questo deve avere una fine. Gli italiani e francesi (e i britannici, e gli americani) possono anche educatamente ammettere il loro status di esseri inferiori se paragonati al popolo tedesco (in particolare, ai giornalisti tedeschi). Ma è comunque evidente che i tedeschi non sono superuomini. Quando certe forme di dumping furono rimosse, la loro economia ne soffrì enormemente (pensiamo a cosa accadde quando collassò il Sistema Monetario Europeo, un altro meccanismo messo su per ostacolare la fisiologica rivalutazione del marco). Meno di un secolo fa un simile mix di austerity (con lo scopo di ottenere moderazione salariale) e retorica suprematista consegnò la Germania nelle mani dei nazisti. È soprattutto nell’interesse di tutti i tedeschi di buona volontà ricordare questo semplice fatto e comportarsi di conseguenza prima che accada di nuovo.

La prima mossa è semplice: dovrebbero diffidare dei loro giornalisti come noi diffidiamo dei nostri. Solo la libertà ci renderà liberi, e non possiamo aspettarci che la verità arrivi da un sistema mediatico dominato da interessi economici disfunzionali.

PS: Per i cialtroni del "Bagnai fa cherry picking!", ecco un quadro più completo dell’andamento dei tassi di cambio nominali dal 1948 al 1998 (fonte: FMI; i cambi nominali bilaterali sono espressi come indice con base 1948=100). In mezzo secolo, solo le valute di Giappone e Svizzera sono riuscite ad apprezzarsi rispetto al marco (e ora rispetto all’euro), e i motivi spero siano sufficientemente ovvi. Tutte le altre hanno avuto una tendenza decrescente, almeno finché è stato loro possibile. Nell'autostrada monetaria internazionale, il vecchietto sclerotico che guida contromano è uno, ed è la Germania. L’euro non è stato concepito per evitare la svalutazione italiana. È stato concepito per impedire la rivalutazione tedesca.