Anno IX - Numero 10
Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci.
Eleanor Roosevelt

martedì 17 gennaio 2017

A Davos si parlerà di repressione delle ong e di populismo, meno di economia. Vi è chiaro?

Si apre oggi l’annuale World Economic Forum di Davos, simposio dove storicamente si elaborano teorie economiche fallaci ma ammantate di potenzialità salvifiche, vista l’alta presenza di premi Nobel e politici di rango. 

di Mauro Bottarelli

Quest’anno non ci sarà Angela Merkel, alle prese con un restyling del suo cancellierato (il popolo non ama particolarmente i circoli alla Davos e la Frau a settembre ha le elezioni) ma per il resto, la piccola località svizzera si tramuterà per qualche giorno nel centro del mondo, tra misure di sicurezza da far impallidire la sede della Cia e confische forzate di edifici.
La parte più interessante, però, è data dal pre-meeting, ovvero dalla pubblicazione del Global Risks Report, i cui input chiave sono inseriti nel Global Risks Perception Survey (GRPS), pubblicato l’altro giorno, il quale mette insieme diverse prospettive attraverso gruppi di varie fasce d’età, nazioni e settore. Quest’anno il report si focalizza su cinque cambiamenti chiave che il mondo sta affrontando, due soli dei quali con tematiche rigorosamente economiche.

Ma, guarda guarda, se la disparità di ricchezza viene posta come un delle chiavi di lettura più importanti per decodificare e determinare gli sviluppi globali dei prossimi dieci anni (l’originalità li contraddistingue da sempre), ecco che a Davos hanno messo in agenda qualcos’altro, legandolo direttamente al tema della crescita economica: l’avanzata dei movimenti anti-establishment! Ecco un passo: “Il crescente stato d’animo di populismo contrario all’establishment ci suggerisce che potremmo aver superato la fase in cui la crescita economica da sola possa porre rimedio a una società fratturata: occorre aggiungere all’agenda la riforma del capitalismo di mercato”. Niente meno, il tutto in tre giorni di meeting, fra tartine e coffee break.

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