Anno IX - Numero 12
La guerra non è mai un atto isolato.
Carl von Clausewitz

martedì 29 gennaio 2019

Perché l’auto è oggi un’industria fragile

La produzione di auto in Europa è destinata a scendere ancora. Quali saranno le conseguenze per l’Italia? Il nostro paese è in una situazione migliore di altri per il graduale spostamento verso produzioni di fascia più alta. Ma ha anche due debolezze

di Andrea Stocchetti e Francesco Zirpoli

Il calo della produzione nel settore auto non è sorprendente per gli addetti ai lavori e non cambia lo scenario che già da tempo si prospetta per l’automotive in Italia e in Europa. La produzione italiana di auto, peraltro, è oggi su livelli superiori al minimo storico registrato nel 2014, quando era scesa sotto al mezzo milione di unità. Nel 2017 si sono prodotti 742 mila autoveicoli e la produzione del 2018 si assesterà intorno a valori non significativamente diversi. I valori annuali sono in linea o superiori a quelli degli ultimi tre anni e in generale il dato mensile poco dice nella dinamica complessiva della strategia produttiva. Si può, invece, trarre spunto dai dati sulla produzione auto e dall’allarme da essi generato per una riflessione sullo stato attuale e futuro dell’industria europea, e in particolare per gli scenari che si prospettano per quella italiana.
È ragionevole ritenere che gli attuali livelli produttivi in Europa siano destinati a diminuire ancora a causa di tre fattori: (1) un diverso manifestarsi della domanda, sia quantitativo che qualitativo, in primo luogo per l’evoluzione delle preferenze dei consumatori, l’introduzione di nuove tecnologie di powertrain e il mutamento dei modelli di mobilità urbana; (2) una riduzione delle esportazioni dovuta alla crescita della produzione interna dei paesi un tempo importatori (come, ad esempio, la Cina); (3) un rischio concreto che le schermaglie commerciali tra Usa, Cina ed Europa diano luogo all’introduzione di dazi in grado di danneggiare significativamente l’economia europea. Il terzo fattore, sebbene sia legato a contingenze potenzialmente destinate a perdurare per un periodo di tempo circoscritto, avrebbe comunque un effetto immediato sulla struttura dell’industria, dalle conseguenze non facilmente reversibili. I primi due fattori sono invece di tipo strutturale e rappresentano quindi l’elemento al quale è necessario fare riferimento per una lettura dei dati di produzione in chiave strategica. In tale ottica, l’Europa è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti della domanda, anche perché ha investito massicciamente sulla tecnologia diesel, destinata al declino più rapidamente delle altre motorizzazioni, in particolar modo alla luce dell’orientamento diffuso circa le politiche di mobilità sostenibile nei centri urbani. Non sorprende, quindi, che tra novembre 2018 e gennaio 2019, Volkswagen, Ford, Jaguar Land Rover abbiano annunciato significative riduzioni dell’organico.

Le conseguenze per Italia ed Europa

In chiave prospettica, il calo della produzione di auto dei paesi europei che nelle statistiche si posizionano nei primi posti rischia di essere dirompente sulle loro economie. Osservando le prime dieci posizioni nella geografia produttiva europea del 2017, i paesi più esposti sono chiaramente quelli che hanno beneficiato dello spostamento sull’asse produttivo della Germania. Spagna (2,29 milioni di vetture), Francia (1,67), Regno Unito (1,67) e Italia (0,74) producono complessivamente 6,37 milioni di vetture. La Germania da sola ne produce 5,64 milioni, con Repubblica Ceca (1,4), Slovacchia (0,95), Polonia (0,5), Ungheria (0,4) e Romania (0,36) si arriva a 9,25 milioni di vetture.

Paradossalmente, l’Italia, assorbita la drammatica diminuzione della produzione rispetto ai fasti degli inizi degli anni Novanta, è oggi meglio posizionata degli altri paesi europei proprio per il fatto di avere una capacità produttiva (di auto) più limitata e per un graduale spostamento verso produzioni di fascia più alta, potenzialmente foriere di maggiori margini unitari e migliori opportunità di innovazione/riconversione tecnologica.

Nel quadro strategico che sembra emergere, tuttavia, il nostro paese ha anche due fonti di forte debolezza. La prima è il ritardo di Fca nel rinnovare i modelli prodotti in Italia. La seconda riguarda le forti interdipendenze tra la filiera auto italiana e i produttori tedeschi. La fragilità dell’Europa, quindi, rischia di trasformarsi in un boomerang per l’Italia nonostante la sua economia sia meno dipendente rispetto agli altri paesi europei dalla produzione interna di auto.

Per limitare i danni, sarà cruciale che diversi attori giochino la loro parte: Fca dovrà aggiornare i modelli prodotti in Italia per mantenere gli attuali livelli produttivi, in particolare convertendo in modo rapido i powertrain tradizionali con soluzioni ibride ed elettriche (a seconda dei segmenti di riferimento). La filiera dovrà accelerare, attraverso investimenti in ricerca e sviluppo, la transizione verso tecnologie del futuro se non vuole subire per prima gli effetti del calo dei produttori tedeschi. Il sistema paese deve ritornare a fare innovazione e a produrre mezzi per la mobilità urbana del futuro. A questo proposito, dato lo scenario delineato, è davvero sorprendente che non si affrontino e risolvano con celerità le questioni industriali che riguardano i produttori nazionali di autobus, obbligando le amministrazioni locali a comprare bus elettrici realizzati in Cina o in Turchia.

Andrea Stocchetti e Francesco Zirpoli per Lavoce.info