Anno IX - Numero 11
La morte è il limite di ogni cosa.
Orazio

martedì 11 dicembre 2018

Gilet gialli: Macron ha mani e piedi legati dall’Unione europea

Le rivendicazioni dei Gilet Jaunes, legittime e condivisibili, rischiano di restare lettera morta se non accompagnate da un almeno altrettanto energico sforzo per liberarsi delle assurde restrizioni imposte da un sistema anti-democratico, elitista e imperialista come l’Unione Europea. Nessuna delle richieste ribadite in questi ultimi fine settimana a Parigi e nelle principali città francesi, e ora anche in altri paesi, è realizzabile all’interno del sistema di regole europee. Coralie Delaume, che in Francia gestisce il blog L’Arene nue, lo spiega senza mezzi termini in questo importante articolo pubblicato su Le Figaro

di Margherita Russo

Aumenti di SMIC (salario minimo orario, ndt) e pensioni, maggiore tassazione delle grandi società, protezione dell’industria francese, fine della politica di austerità e riorganizzazione dei servizi pubblici: queste sono le richieste dei gilet gialli comunicate la scorsa settimana attraverso la stampa. A ciò spesso si aggiunge anche la richiesta di ripristino di una vera democrazia.

Tra le parole d’ordine e gli slogan è invece assente l’Europa. Eppure nessuna delle richieste formulate è realizzabile nell’attuale Unione europea, con il Mercato unico e l’euro, che sono il confine entro il quale si attuano le politiche nazionali. I governi nazionali sono in ultima analisi solo dei volenterosi intermediari dell’Ue, mediatori di potere soddisfatti della loro impotenza.
Non ci può essere democrazia nell’Unione europea
L’Unione europea è qualcosa di più di un’organizzazione internazionale. Non è intergovernativa, ma sovranazionale. I giuristi affermano che la Corte di Giustizia della Comunità ha “elevato i trattati al rango costituzionale” con due sentenze, nel 1963 e nel 1964. In altre parole, la Corte ha creato un nuovo ordinamento giuridico e gettato le basi di un proto-federalismo senza che i popoli siano stati consultati – o persino avvertiti – sul concepimento di una quasi-Costituzione.

I francesi alla fine l’hanno saputo… ma solo quarant’anni dopo! Il referendum del 2005 sul Trattato costituzionale europeo consisteva in definitiva nel chiedere agli elettori di legittimare ex post una situazione che esisteva già da tempo. È questo uno dei motivi per cui il “no” francese (o il “no” olandese) non è stato preso in considerazione: il testo è stato ripresentato sotto il nome di “Trattato di Lisbona”. Per poter rispettare il verdetto delle urne, si rese necessario ammettere che era stato già deciso un processo di “federalizzazione sottobanco” dell’Europa, e in tal senso indietreggiare temporaneamente lungo il percorso.

Se la mutazione in senso costituzionale dei trattati è iniziata molto presto, il processo di svuotamento democratico è continuato in seguito. Il problema è stato aggravato, ad esempio, dall’abolizione del principio dell’unanimità nel Consiglio europeo. Come spiega il giurista tedesco Dieter Grimm, ciò ha spezzato la “catena di legittimazione” dal popolo al Consiglio, il cui anello essenziale erano i governi nazionali eletti. Con l’abolizione dell’unanimità, uno Stato può essere soggetto a una norma di legge che è stata esplicitamente respinta da uno degli anelli della catena di formazione della propria volontà nazionale, anche se in linea di principio il peso relativo della Francia nel Consiglio la rende immune da ciò.

Per rimediare all’immenso “deficit democratico” della costruzione comunitaria, il trattato di Lisbona ha aumentato i poteri del Parlamento europeo. Problema: questo Parlamento non è un organo unico. Non rappresenta il “popolo europeo” (dato che non esiste), ma si limita semplicemente a far coabitare i rappresentanti nazionali di ventotto stati. Per di più, a parte questo, non è neanche il principale produttore di diritto comunitario. Questo ruolo è di competenza della Corte di Lussemburgo, che emette norme a getto continuo, con valore giuridico e senza consultare nessuno. Infine, il Parlamento europeo non ha la possibilità di modificare i trattati, anche laddove questi contengono elementi di politica economica. Che l’Assemblea di Strasburgo abbia una maggioranza di “sinistra” o di “sovranisti”, ciò non darebbe luogo ad alcun riorientamento. Qualunque cosa accada nelle urne elettorali durante le elezioni europee del 2019, il combinato legislativo composto dai trattati e dalle sentenze della Corte continuerà ad imporre più libero scambio, più austerità, più concorrenza.

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