Anno IX - Numero 12
La guerra non è mai un atto isolato.
Carl von Clausewitz

martedì 17 aprile 2018

Jobs Act e domanda di lavoro: una valutazione

Una stima degli effetti del Contratto a Tutele Crescenti sulla complessiva domanda di lavoro dipendente realizzata sulla base dei dati Istat presenti nella “Indagine sulla fiducia delle imprese manifatturiere – modulo ad hoc sui flussi nel mercato del lavoro e tipologie contrattuali 2015-2017” riferiti agli anni 2014-2016

di Laura Bisio e Davide Zurlo

Gli effetti del Jobs Act sul mercato del lavoro, a circa 3 anni di distanza dalla sua introduzione, sono stati oggetto di numerose analisi.  Prima di entrare nel merito, ricordiamo che il Contratto a Tutele Crescenti (CTC) ha ridotto sostanzialmente i costi per i datori di lavoro delle imprese con almeno 15 dipendenti derivanti dal licenziamento ingiustificato dei neo-assunti a partire dal 7 marzo 2015. Contestualmente, la Legge di Stabilità per il 2015 ha introdotto un piano triennale di decontribuzione degli oneri a carico delle imprese che assumono mediante un CTC (anche dopo trasformazione di un precedente contratto a termine): per gli assunti con il CTC nel corso del 2015, la decontribuzione dura 36 mesi e le imprese sono esonerate dal pagamento degli interi oneri sociali fino a un massimale annuo di 8.060 euro; per i neo-assunti nel corso del 2016 la decontribuzione dura 24 mesi e le imprese sono esonerate dal pagamento del 40% degli oneri sociali a loro carico, fino ad un massimale annuo di 3.250 euro. Nel valutare i flussi occupazionali dal 2015 in poi occorre, dunque, considerare la sovrapposizione di questi due dispositivi normativi, i cui effetti peraltro non si sono ancora esauriti.

Ciò che proponiamo è una stima dell’effetto dell’introduzione del CTC sulla domanda di lavoro delle imprese in termini di accensione complessiva di nuovi contratti di lavoro dipendente (a tempo determinato, indeterminato, CTC, di apprendistato, intermittente, job sharing), che tiene anche conto dell’utilizzo da parte delle imprese dello strumento dell’esonero contributivo di cui si è detto, nonché della sua rimodulazione in base alla Legge di stabilità per il 2016. La scelta di esaminare la dinamica di tutte le assunzioni, a prescindere dalla natura precaria o stabile dei nuovi contratti, riflette il tentativo di valutare se, e in quale misura, gli strumenti normativi richiamati, benché diretti ad agevolare le assunzioni a tempo indeterminato, abbiano avuto effetti indiretti sulla domanda complessiva di lavoro, eventualmente influenzando le condizioni alla base delle decisioni di assunzione da parte delle imprese.

Le stime condotte (per i dettagli delle quali si rimanda al contributo nel Cap.1 del Rapporto ISTAT sulla competitività dei settori produttivi 2018 su cui si basa questo articolo) si riferiscono alle sole imprese manifatturiere sopra i 15 addetti che hanno dichiarato di aver effettuato assunzioni di forza lavoro dipendente (le quali possono includere conversioni di precedenti altri rapporti di lavoro) nel triennio 2014-2016. Ricordiamo, infatti, che il CTC ha rappresentato una modifica normativa sostanziale per le sole imprese con più di 15 dipendenti.

L’ipotesi implicita nella nostra analisi è che l’acquisizione di una maggiore flessibilità nella gestione della forza lavoro grazie all’introduzione del CTC abbia indotto le imprese che vi hanno fatto ricorso ad assumere più personale mediante una o più delle tipologie sopra indicate (da cui è escluso il personale parasubordinato), rispetto a quanto avrebbero fatto in assenza del provvedimento. In particolare, si valuta l’effetto del ricorso (in almeno una occasione) al CTC dal 7 marzo 2015 al 31 dicembre 2016, in termini del differenziale di flusso di assunzioni effettuate a livello d’impresa nel biennio 2015-2016, rispetto a chi abbia assunto, ma senza ricorrere al CTC. Condurre l’analisi sulle sole imprese che hanno effettuato assunzioni nel periodo considerato e non anche su quelle che non hanno attivato nuovi contratti di lavoro implica focalizzarsi su un segmento produttivo maggiormente “in salute”. Si noti quindi come l’obiettivo di ricerca non sia una valutazione dell’introduzione del CTC sulla domanda di lavoro tout court, bensì l’individuazione di un (potenziale) differenziale sulla domanda di assunzione di imprese che, ex ante, hanno la capacità di attivare nuovi contratti.

I risultati derivano dalla stima econometrica controfattuale di tre modelli basati su un dataset panel non bilanciato sulle imprese del settore manifatturiero negli anni 2014-2016. In tutti e tre i modelli il fenomeno di interesse è il numero di nuovi dipendenti assunti dall’impresa: nel primo modello, si stima la relazione fra il numero complessivo di nuove assunzioni nel biennio 2015-2016 e l’avere utilizzato o meno il CTC; nel secondo, si stima tale relazione distinguendo il 2015 e il 2016; nel terzo modello, infine, si prova a valutare il contributo specifico dell’utilizzo del CTC, tenendo esplicitamente conto dell’eventuale beneficio derivante dalle agevolazioni contributive introdotte nel 2015. Nelle stime si controlla per la dimensione d’impresa e per una serie di variabili che dovrebbero consentire di tenere conto di fenomeni congiunturali in grado di influenzare la dinamica delle assunzioni da parte dell’’impresa tra cui il livello della produzione, degli ordinativi e della domanda.

I risultati del primo modello, illustrati nella Figura 1, mostrano come le imprese che hanno fatto ricorso al CTC hanno assunto, in media, il 19,5% di lavoratori in più rispetto alle imprese che hanno assunto nello stesso periodo attraverso tipologie contrattuali diverse. Detto altrimenti, se una impresa che non ha utilizzato il CTC ha assunto 10 lavoratori, una che vi ha fatto ricorso ne ha assunti 12, a parità di altre condizioni. E’ da sottolineare che l’“effetto Jobs Act” sulla vivacità delle assunzioni è significativamente diverso tra le classi dimensionali d’impresa. Il guadagno stimato in termini di numero di assunzioni è sempre statisticamente significativo ed è di dimensione crescente e proporzionale alla dimensione d’impresa; inoltre, esso è pari, in media, a circa l’11% per le piccole imprese, al 23% per le medie e al 38% per quelle con più di 250 addetti.

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