Anno IX - Numero 10
Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci.
Eleanor Roosevelt

martedì 24 aprile 2018

Cosa c’è dietro alla distensione nordcoreana

Il Presidente dell'Assemblea Parlamentare della Nato analizza la situazione nella penisola sudcoreana alla luce delle ultime dichiarazioni di Kim Jong-un

di Paolo Alli

Da qualche mese si avvertiva che qualcosa nel rapporto tra le due Coree potesse accadere in tempi brevi, anche se si trattava certamente più di sensazioni che di certezze. L’escalation degli atteggiamenti aggressivi da parte di Kim Jong-un e le risposte sempre più determinate dell’amministrazione americana aumentavano le tensioni e le preoccupazioni della popolazione sudcoreana, lasciando supporre, o almeno sperare, che potesse prefigurarsi qualche intervento teso ad alleggerire, anche psicologicamente, la pressione sulla Corea del Sud e sull’intera opinione pubblica mondiale, legittimamente terrorizzata dall’ipotesi di una guerra nucleare.


Le olimpiadi invernali di Pyeongchang hanno costituito l’occasione per gesti distensivi tra le due parti. La presenza della sorella di Kim, lo scambio di saluti con il Presidente Moon, le dichiarazioni che sono seguite e il nervosismo statunitense non vanno sottovalutati.

Sono fatti che, se letti con attenzione, rafforzano l’ipotesi di una regia sapiente orchestrata da Pechino – probabilmente con la Russia nelle vesti di spettatore interessato – proprio nella prospettiva, sulla quale abbiamo insistito, di un altro tipo di interesse, cioè l’allontanamento degli USA e della loro sfera di influenza dalla regione. Infatti, una progressiva e pacifica soluzione bilaterale del conflitto ridurrebbe di molto la necessità di una presenza americana nella penisola coreana e, con essa, nell’intero quadrante strategico dell’Asia nord-orientale, fino a renderla inutile, se non dannosa. Questa ipotesi potrebbe essere proprio la molla che spinge oggi la Cina a intervenire a favore di una pacificazione nella penisola coreana, nella speranza che Washington sia, alla fine, costretta a lasciare mano libera alle mire egemoniche di Pechino sul Mar cinese orientale e meridionale. Con il corollario, non secondario, di un enorme ritorno di immagine per la stessa Cina, che acquisirebbe il merito di avere disinnescato la minaccia di una guerra nucleare che terrorizza l’umanità.

Si potrebbe dire che la Cina debole e ripiegata su se stessa di alcuni decenni fa, aveva avuto la necessità di creare e mantenere uno stato-cuscinetto per difendersi dallo strapotere politico, economico e militare statunitense, fino a fare della Corea del Nord una potenza nucleare, unico vero deterrente possibile per Washington. Per la Cina di oggi, che ormai compete ad armi pari con gli Stati Uniti, la potenza di Pyongyang può costituire un boomerang e giustifica la permanenza americana nella regione, reale pietra d’inciampo per il suo disegno di controllo sull’estremo oriente. Allora, meglio disinnescare la minaccia, pur di non darne merito a Trump. Insomma, oggi meglio la pace che la minaccia armata.

Ma poiché una grande vittoria politico-diplomatica di Pechino è rischiosa soprattutto per gli Usa, assistiamo oggi a mosse che sconvolgono ancora una volta il quadro. Movimenti che sembrano affidati a tre attori: Kim Jong-un, il Presidente sudcoreano Moon Jae-in e Donald Trump.

Il primo annuncia la decisione unilaterale della sospensione di ogni esperimento missilistico, il secondo riempie Seul di giganteschi manifesti inneggianti alla pace tra le due Coree, il terzo sembra pronto a volare a Pyongyang, primo Presidente americano della storia a compiere un gesto simile. La Cina sembra messa alla finestra.

Non è facilissimo capire cosa stia dietro questo veloce cambiamento di scenario, nel quale alcuni attori hanno certamente da guadagnare, altri da perdere. Kim è un abilissimo tattico e, se fa questa mossa, significa che sta ottenendo quanto cercava e forse anche di più. Che cosa? Certamente il consolidamento della propria figura di leader all’interno del proprio popolo, l’obiettivo che gli sta più a cuore; inoltre, una prima legittimazione internazionale, sicuramente corredata da importanti aiuti economici (resta da capire da parte di chi) che gli saranno indispensabili per accelerare la crescita del proprio Paese.

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