di Mario Seminerio
Il primo gennaio dello scorso anno partiva in Finlandia la sperimentazione di un reddito universale di base (UBI, Universal Basic Income), destinato ad un campione duemila disoccupati estratti a sorte, di età compresa tra 25 e 58 anni, a cui viene erogata una somma mensile di 560 euro prima delle imposte, senza obbligo di cercare o accettare un impiego durante i due anni della sperimentazione, e continuando a ricevere lo stesso importo anche in caso di occupazione.
L’esperimento, il cui costo è stimato in 20 milioni di euro, è stato lanciato da un governo di centro-destra, preoccupato di contenere la spesa sociale, ridurre un tasso di disoccupazione cocciutamente elevato, intorno all’8%, ed innalzare un tasso di occupazione che resta tra 4 e 7 punti percentuali inferiore alla media degli altri paesi scandinavi in un paese che nel 2016 era al quarto posto per pressione fiscale e contributiva in area Ocse (l’Italia era sesta).
Il primo punto da evidenziare è che la declinazione finlandese del reddito universale di base non è esattamente universale, visto che è mirata solo ai disoccupati e non a tutta la popolazione. Ciò si comprende appieno considerando che lo strumento punta ad accrescere il tasso di occupazione, fondamentale per la crescita e la sostenibilità fiscale di lungo periodo, e rimuovere i disincentivi di welfare a cercare lavoro; molte persone scelgono infatti di stare a casa e fruire dei sussidi perché spesso accettare un lavoro si tradurrebbe in un peggioramento della loro condizione economica, a causa della elevata pressione fiscale che colpisce il passaggio dallo stato di disoccupato a quello di occupato.
Anche se l’esperimento produrrà benefici aggiuntivi in termini di riduzione dei costi burocratici relativi ai sussidi da esso sostituiti, e basati sulla cosiddetta prova dei mezzi (cioè sul reddito del beneficiario), la sua introduzione ha la finalità dominante di alzare il tasso di occupazione e ridurre i disincentivi all’offerta di lavoro che ogni erogazione di welfare comporta, in varia misura.
Il mese scorso, l’Ocse ha criticato l’impianto del sussidio finlandese, considerato inefficace per le finalità a cui è destinato ed inefficiente sul piano dei costi. Adottato su scala nazionale, nella versione oggi sperimentata, il sussidio sarebbe infatti pari a solo il 13% del reddito mediano ed al 26% della soglia di povertà relativa. Il finanziamento di misure così modeste nel beneficio sui destinatari richiederebbe tuttavia un forte aumento di tassazione, a maggior ragione se reso realmente universale e non limitato ai soggetti in età lavorativa, che vanificherebbe l’incentivo ad accrescere la partecipazione al mercato del lavoro.
Continua la lettura su Phastidio.net