mercoledì 24 settembre 2025

Tucidide e l’America: la tragedia del potere che si ripete

L’ambizione che diventa hybris. Se c’è un messaggio che l’America contemporanea può trarre da Tucidide  è che il vero potere non risiede nell’espansione illimitata, ma nella capacità di governare la propria ambizione

di Giuseppe Gagliano

La lezione di Tucidide sulla spedizione ateniese in Sicilia ha una risonanza di inquietante attualità. La decisione di Atene di aprire un secondo fronte, senza aver ancora concluso il conflitto con Sparta, fu il prodotto di un miscuglio tossico di ambizione, arroganza e interessi privati mascherati da ragion di Stato.

Nicia mise in guardia contro il rischio di sovraestensione, avvertì i suoi concittadini di non confondere la gloria personale con l’interesse della città, di non fidarsi delle promesse illusorie degli alleati e soprattutto di non cedere a coloro che vedevano nella guerra un’occasione di profitto personale. Ma il suo appello alla prudenza si perse nel frastuono della retorica di Alcibiade, convinto che la potenza navale di Atene potesse aprire le porte a un impero senza limiti.
L’esito è noto: la spedizione si trasformò in una catastrofe e segnò l’inizio del declino ateniese. La hybris, l’eccesso di fiducia in se stessi, divenne la vera causa della rovina.

L’eco americana
Oggi, più di duemila anni dopo, non è difficile riconoscere l’eco della stessa logica nella politica estera americana. Dal Vietnam all’Iraq, dall’Afghanistan alla Libia, gli Stati Uniti hanno spesso ceduto alla tentazione di aprire “secondi fronti” senza aver risolto i conflitti già in corso, convinti che la loro superiorità militare e tecnologica fosse sufficiente a spezzare ogni resistenza.

Come Alcibiade, Washington ha sottovalutato la capacità di coalizione dei suoi avversari. In Iraq, si pensava a un’operazione rapida e decisiva, ma la guerra ha generato un caos regionale che ha finito per rafforzare l’Iran e i gruppi jihadisti. In Afghanistan, ci si fidava del dominio assoluto delle forze Nato, ma il ritiro del 2021 ha dimostrato che il tempo e la resilienza dei talebani pesavano più delle armi occidentali.

La prudenza tradita
Tucidide avrebbe riconosciuto in queste scelte la stessa dinamica che descriveva nella sua Guerra del Peloponneso: l’incapacità di governare la natura umana, l’influenza corrosiva degli interessi privati, l’assenza di leader capaci di contenere la folla e proporre una visione realistica della politica. Pericle, ricorda lo storico, fu l’unico a dominare il popolo senza esserne dominato. I suoi successori, cercando di blandirlo, condussero la città alla rovina. Negli Stati Uniti, la pressione dell’opinione pubblica, delle lobby militari e delle esigenze elettorali ha spesso spinto i presidenti a decisioni affrettate, prive della necessaria lungimiranza.

La tragedia del potere
Ciò che Tucidide ci insegna è che la potenza, se non è temperata dalla prudenza, si consuma da sé. Una città che si lancia in guerre continue, scriveva, acquisisce esperienza ma rischia di logorarsi fino al crollo. Una lezione valida anche per un impero moderno: più le interventi militari si moltiplicano, più cresce la probabilità dell’errore strategico e dell’esaurimento politico.

Una lezione per oggi
Il paradosso della politica estera americana è che, pur presentandosi come garante della sicurezza e della stabilità mondiale, ha spesso prodotto l’effetto opposto: insicurezza, instabilità e nuove minacce. Come Atene, gli Stati Uniti si sono creduti “destinati” a comandare, ma l’illusione di onnipotenza li ha spinti a sottovalutare i limiti delle proprie forze e la resilienza degli altri.

Se c’è un messaggio che l’America contemporanea può trarre da Tucidide, è che il vero potere non risiede nell’espansione illimitata, ma nella capacità di governare la propria ambizione, di distinguere tra ciò che serve alla sicurezza collettiva e ciò che risponde a interessi privati o a miopie strategiche.

La tragedia del potere, scritta nel V secolo a.C., non appartiene solo ad Atene. Appartiene a ogni potenza che dimentica che la gloria personale e la cupidigia non fanno la forza di un impero, ma ne scavano la tomba.

Giuseppe Gagliano per la fionda

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