martedì 2 settembre 2025

La riforma più importante della scuola: la fiducia

Nel sistema scuola, la fiducia reciproca tra presidi, insegnanti e famiglie è sotto la soglia minima. Queste tre componenti sono impegnate a sorvegliarsi reciprocamente e la macchina burocratica non custodisce più un patto ma al massimo un contratto, i cui firmatari curano i propri interessi. Inevitabilmente, un sistema fatto da componenti antagoniste (anche se non ufficialmente) tenderà a generare soluzioni di compromesso al ribasso

di Alfonso Lanzieri

Da quel che abbiamo potuto apprendere dai giornali, qualche giorno fa* uno studente di un liceo scientifico di Padova, si è regolarmente presentato a scuola nel giorno della prova orale della maturità, rifiutandosi però di sostenerla. Secondo quanto riportato, la scelta è stata consapevole e motivata da una riflessione sul sistema di valutazione adoperato, che a giudizio dello studente non sarebbe adatto allo scopo. L’episodio, di cui non sono noti molti altri particolari, ha prodotto ovviamente la solita nuvola di commenti su scuola, voti, esame di maturità e così via.
Personalmente, credo che casi come questo siano rilevanti solo se interpretati come spia di altro. Non ho la minima intenzione, infatti, di commentare la protesta in sé, né per quanto concerne il contenuto né (soprattutto) per la forma. L’episodio, al netto forse di qualche esagerazione da “click–baiting”, si presta semmai a segnalare, per l’ennesima volta, una crepa più profonda.

La questione è che nel sistema scuola – questo, a mio modo di vedere, è il bandolo della matassa, cui poi si connettono molti fatti problematici – la fiducia reciproca tra presidi, insegnanti e famiglie è sotto la soglia minima. Ad oggi, queste tre componenti sono impegnate a sorvegliarsi reciprocamente. Non sempre e non dappertutto ovviamente, eppure accade non di rado. Non succede perché i singoli attori siano cattivi e malintenzionati, ma perché il sistema è costituito in modo tale da generare queste dinamiche. Resta una infrastruttura teoricamente fondata sulla fiducia reciproca, sul legame del “patto educativo” che fa da premessa a norme, regolamenti e protocolli. Praticamente, però, questa premessa è oggi debolissima. La macchina burocratica non custodisce più un patto ma al massimo un contratto, i cui firmatari curano i propri interessi. Tale assetto produce evidentemente un sovrappiù di documenti e protocolli che in molti casi servono per “stare a posto con le carte”.

Più burocrazia c’è, più appigli ci sono per ricorsi e lamentele. Così una eventuale valutazione negativa – data per il bene dello studente, al netto sia della severità immotivata (che ha fatto danni in passato), sia del pietismo pedagogico (che li sta facendo oggi) – viene talmente vivisezionata, al fine di verificarne l’inattaccabilità procedurale, da togliere serenità ai docenti (le valutazioni positive aprono un altro fronte: «perché solo 9 e non 10?», ma mettiamolo da parte). Possiamo aggiustarcela come vogliamo ma la realtà è che se diventa più difficile mettere uno studente davanti alle proprie inconsistenze, a motivo di tutta una serie di piccole e grandi pressioni contestuali, non si fa il bene dei ragazzi né della società nella quale un domani dovranno essere i protagonisti.

Inevitabilmente, un sistema fatto da componenti che dovrebbero essere alleate ma in realtà sono antagoniste (anche se non ufficialmente), alla fine tenderà a generare soluzioni di compromesso al ribasso, non decise certo a tavolino, ma tacitamente prodotte dalla dialettica dei fatti, in base a quella dinamica di “adattamento ambientale” che fa dire (caso estremo, ma utile a capire): «all’inizio non ero così, ma poi come fai a combattere tutti i giorni?». Dal momento che le parti antagoniste del sistema non possono separarsi, costrette a convivere per cicli piuttosto lunghi, l’accomodamento è giocoforza. Non tutti possono essere dei Ken Carter (vedi Wikipedia o film Coach Carter con Samuel L. Jackson).

Naturalmente questa non vuole essere in alcun modo la fotografia totale della scuola italiana. Non ho né la conoscenza né l’esperienza per scattarne una, forse non le ha nessuno. La scuola italiana è fatta da presidi, insegnanti e alunni fantastici e generosi, di cui potrei fare i nomi. E pure da genitori meravigliosi. Sono però abbastanza convinto che quanto detto prima sia un buon abbozzo di una parte della scuola italiana che non dobbiamo ignorare, perché produce tossine e disfunzioni che danneggiano anzitutto la componente più debole: gli studenti. In particolare gli studenti meno protetti dal capitale finanziario e culturale delle proprie famiglie.

Alfonso Lanzieri per Il Pensiero storico


* l'articolo è stato pubblicato in origine l'8 luglio 2025, in piena sessione di esami di maturità

Nessun commento:

Posta un commento