Anno IX - Numero 10
Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci.
Eleanor Roosevelt

martedì 1 dicembre 2020

Il Recovery è mio e lo apparecchio io

Francesi e tedeschi tentano di aggregare gli italiani in una sorta di coordinamento degli investimenti innovativi del Recovery Fund. Proposta razionalmente ovvia ma poi come faremmo ad attovagliarci tra noi italiani?

di Mario Seminerio

Mentre attendiamo di capire come la Ue a presidenza tedesca (ancora per un mese circa) gestirà il blocco ungherese e polacco all’ipotesi di legare l’erogazione dei fondi europei alla tutela dello stato di diritto, e mentre da Roma continuano a provenire rassicurazioni circa il fatto che il nostro piano nazionale di ripresa e resilienza vedrà la luce in tempo utile, spunta un “suggerimento” all’Italia in grado di sparigliare le carte romane e il Grande Attovagliamento che si prepara in una segretezza quasi claustrale, la cui efficacia è confermata dal moltiplicarsi di messaggi politici di disagio o profferta per entrare nella cabina di regia del jackpot europeo.

Ed ecco, all’improvviso, il lampo: perché l’Italia non crea una sorta di coordinamento degli investimenti con gli altri paesi europei con cui forma le catene di valore e ha i più intensi scambi economici? In fondo, sarebbe un modo per mettere le risorse a servizio di una interdipendenza che è tanto naturale da essere spesso data per scontata.
Oggi, su Repubblica e sempre a firma di Claudio Tito, che pare essersi specializzato in articoli di retroscena italo-europeo la cui titolazione inizia indefettibilmente con la parola “allarme” (al solito, non è chiaro se di genuina provenienza europea oppure romana), compare quindi l’alert del ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, che ieri ha incontrato l’omologo italiano Roberto Gualtieri. Allora, questo piano italiano? Manca molto? Noi francesi siamo pronti, e voi? Pare abbia chiesto Le Maire.

Quello che più interessa, però, è ciò che il francese pare aver suggerito a Gualtieri:


Non è un caso che Le Maire, durante il summit, abbia rimarcato che ci sono cinque macro-aree di intervento su cui Francia e Germania hanno già trovato l’intesa per una cooperazione e l’impiego dei fondi europei. Settori che vanno dalla Rete 5G al futuro energetico dell’idrogeno, dalle infrastrutture alla digitalizzazione. “Sono cose – ha ripetuto Le Maire – che possiamo fare a tre: Italia, Francia e Germania”. Una sorta di suggerimento, una esortazione a non disperdere energie e risorse in una miriade di micro interventi. Che, al contrario, sarebbero incapaci di imprimere lo sviluppo infrastrutturale richiesto dal patto di luglio sul Recovery plan.

Questo è molto interessante: creare un coordinamento a tre sullo sviluppo tecnologico e le sue applicazioni. Con, immaginiamo, gruppi di lavoro interministeriale ma anche delle imprese dei paesi coinvolti. A ben vedere, è anche ipotesi del tutto razionale e condivisibile. So quello che alcuni tra voi stanno per obiettare: ah, certo, adesso ci facciamo dettare l’agenda da tedeschi e francesi, ma il Copasir vi ha detto nulla? C’è questo rischio, in effetti. Oppure, c’è il rischio, anzi la certezza, che in ogni macro-regione economica ci siano leader e follower.

C’è chi fissa gli standard e chi vi si adegua. Succede dalla notte dei tempi, continuerà ad accadere. Se Italia, Germania e Francia rappresentano catene del valore ovviamente compenetrate, pare del tutto naturale lavorare in comune per potenziare tali catene e gestirne l’evoluzione tecnologica.

Sì, ma così finiremmo in posizione vassalla, diranno molti tra voi, il petto gonfio di patrio orgoglio nazionalista, di quello visto negli spot pubblicitari che iniziano con “noi italiani”. Allora, vediamo: il caso dell’idrogeno. Voi pensate che l’Italia possa lavorare in autonomia e solitudine allo sviluppo industriale di questo nuovo spin? Io no. Ci sono standard da seguire, paesi a cui agganciarsi, qualcuno più avanti, altri più indietro. A meno che il vero obiettivo sia quello di farsi gli affari propri usando la tecnologia come alibi.

Del tipo: “idrogeno? Ah, certo, ad esempio l’Ilva, ci stiamo lavorando! Ma prima, ci servono almeno trent’anni di cassa integrazione per reggere il livello di occupazione ai livelli del secolo scorso. Chiamiamola Cig-idrogeno, idea!”. Ecco, questo modo di usare i nomi come scudo per farsi gli affari propri è la garanzia di fallimento.

Non che francesi e tedeschi siano filantropi, ovviamente. Forse sono solo preoccupati per i loro investimenti nella Penisola, e guardano con crescente preoccupazione all’alacre lavoro di scavo di questa voragine a sud dell’Europa. Sto riproponendo il vincolo esterno? Non necessariamente. Più che altro, quello della realtà. Poi, è ovvio che il nostro nazionalismo straccione e gli interessi ad appropriarsi delle risorse del Recovery Fund, faranno in modo che questi suggerimenti francesi e tedeschi cadano nel vuoto. Perché loro sono nostri concorrenti, che diamine, è ovvio che loro obiettivo sia imbrigliare la nostra creatività!

Continua la lettura su Phastidio.net

Nessun commento:

Posta un commento