Anno IX - Numero 10
Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci.
Eleanor Roosevelt

martedì 7 agosto 2018

Il mistero della produttività che non cresce più

Dimensione delle aziende, settore, tecnologia: le spiegazioni trovate finora non bastano a spiegare il fenomeno

di Mario Seminerio

Da tempo gli economisti si interrogano su un fenomeno che sinora non è stato spiegato in modo soddisfacente né complessivo: il rallentamento della crescita della produttività, cioè del prodotto di beni e servizi per ora lavorata. Nel lungo termine, l’incremento di produttività dovrebbe trasmettersi agli standard di vita. Il condizionale è divenuto d’obbligo, dopo che gli ultimi anni hanno visto un indebolimento di questa trasmissione, per motivi ancora non spiegati in modo soddisfacente.

I minori progressi nella crescita della produttività vengono ricondotti a fattori quali bassi tassi d’interesse, che agevolano il mantenimento in vita delle cosiddette aziende zombie, meno produttive; difficoltà di misurazione della produttività in un mondo digitale; aumento di concentrazione settoriale, con formazione di monopoli ed oligopoli, che frena i progressi di produttività.

Una recente ricerca dell’Ocse evidenzia poi un crescente divario di produttività tra imprese: tra il 2001 ed il 2013, il 5% di imprese più produttive ha aumentato la propria produttività del 33% in manifattura e del 44% nei servizi. Nello stesso periodo, il resto delle aziende ha segnato miglioramenti di solo il 7% in manifattura e del 5% nei servizi. In sostanza, pare che gli incrementi di produttività, a differenza che in passato, non si diffondano a tutte le aziende di un settore, mentre la tecnologia premia in modo abnorme i giganti dell’economia globalizzata.

Il crescente e persistente dualismo di produttività ha conseguenze per i lavoratori: negli Stati Uniti, il National Bureau of Economic Research ha scoperto che la quasi totalità dell’aumento della disuguaglianza di reddito creatosi dal 1978 deriva da disparità retributive tra differenti aziende, mentre i differenziali salariali all’interno delle singole imprese sono rimasti perlopiù invariati.

I dati mostrano che le aziende più produttive spesso sono anche quelle di maggiori dimensioni, grazie alla combinazione tra specializzazione e globalizzazione, che consente l’accesso “scalabile” (cioè a costi incrementali molto contenuti) ai mercati globali. Aziende di questo tipo hanno inoltre maggiore possibilità di sperimentare nuove tecnologie e processi produttivi, senza che eventuali fallimenti portino a destabilizzare l’intera impresa. In Europa, tra il 2011 ed il 2016, la metà dei brevetti tecnologici depositati provengono da sole 25 aziende.

I leader tecnologici forniscono servizi alle imprese minori in regime di concorrenza assai limitata o spesso inesistente, frenandone i recuperi di produttività. A ciò si aggiunge che il potere di mercato dei titani tecnologici consente loro di attrarre le migliori professionalità, accentuando quindi il dualismo di produttività e la sua persistenza. Le evidenze che emergono da queste ricerche contribuiscono a gettare luce sui molteplici effetti, non tutti positivi, che globalizzazione e nuove tecnologie esercitano su produttività e diseguaglianza. Le indagini proseguono, a tutto campo.

Mario Seminario per Phastidio.net