Anno IX - Numero 10
Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci.
Eleanor Roosevelt

martedì 24 luglio 2018

Investire in valuta estera? Fatelo in contanti

Per investire in dollari o in sterline non bisogna comprare obbligazioni o titoli di Stato nella rispettiva valuta perché c’è una soluzione: sono i contanti. Nessun obbligo fiscale, nessuna imposta di bollo e nessun rischio di bail-in con la banca o di default dei titoli acquistati. Un’alternativa da non trascurare, per l’impiego dei propri risparmi

di Beppe Scienza 

Inveire contro il fisco vessatorio, assurdo, vorace ecc. è uno sport nazionale e io non amo nessuno sport, tanto meno questo. Però a volte qualche lamentela è fondata.

Prendiamo un risparmiatore che per diversificare i suoi investimenti in valute estere abbia deciso di tenere un po’ di dollari. Non volendo rischiare con l’acquisto di titoli, soggetti al su e giù (e in particolare al giù) delle quotazioni, apre un conto valutario. In banca gli consigliano, per evitare implicazioni fiscali, di stare sotto i 51.645,69 euro, equivalente dei vecchi 100 milioni di lire. Così fa e giusto un anno fa prende 55 mila dollari investendo circa 46.500 euro. Segue poi l’andamento del suo gruzzoletto e lo vede muoversi, ma mai avvicinarsi alla soglia suddetta. Credeva così di essere a posto.

Invece no, perché qualche mese fa una lettera della banca gli comunica che essa ha inviato al Fisco una segnalazione nominativa delle sue operazioni. Infatti l’articolo 67, comma 1, lettera c/ter Dpr 917/1986 prevede la tassazione delle plusvalenze valutarie se si supera il massimo previsto. Ma c’è un inghippo, perché la circolare ministeriale n. 165 del 24-6-1998 stabilì che tale calcolo dev’essere fatto “in base al cambio di inizio anno”.

E i suoi dollari al cambio di inizio 2017, livello da lui però mai visto, corrispondevano a 52 mila euro. Da ciò il superamento formale della soglia e l’obbligo di compilazione del quadro RT del modello Unico, dopo conteggi non semplici. Così, per una trappola contabile, il risparmiatore si è trovato sul groppone un rompicapo inatteso, si è bruciata l’alternativa del modello 730 per la dichiarazione dei redditi, magari precompilato, e ha dovuto pagare la parcella di un fiscalista. Di regola è invece la banca o altro intermediario ad addebitare quanto dovuto sulle plusvalenze, i cosiddetti capital gain. In questo caso no.

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