Anno IX - Numero 12
La guerra non è mai un atto isolato.
Carl von Clausewitz

martedì 31 luglio 2018

Divieto di arancini

Il decoro di una città è anche il modo in cui è vissuta. Ha senso che sia un’amministrazione comunale a scegliere quali negozi siano buoni e quali no?

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La bellezza di un contesto urbano dipende anche dai negozi, per come sono organizzati o per quello che vendono. Non solo l’aspetto statico del verde e dell’architettura, ma anche il dinamismo delle attività commerciali che la animano sono un aspetto essenziale della vita sociale. Ma può dipendere dall’amministrazione comunale la scelta di quali negozi siano buoni e quali no, col pretesto di rendere bello un luogo?

Gli effetti paradossali della burocrazia del decoro sono evidenti
nelle 47 pagine del regolamento per l’esercizio delle attività commerciali ed artigianali nel territorio della Città Storica - un’area più ampia del centro storico - appena approvato dalla giunta di Roma Capitale.

Chi avesse la pazienza di leggere tutte le pagine, scoprirà che un negozio di arancini siciliani - un prodotto considerato in altri contesti un’eccellenza della tradizione culinaria regionale - essendo una friggitoria, è qui ritenuto «incompatibile con le esigenze di tutela dei valori ambientali e urbanistici del Sito Unesco», mentre sono attività tutelate, e quindi incentivate, le erboristerie e i negozi di prodotti bio- e ecologici, i negozi equi e solidali e le ciclofficine.

Le attività di vendita di alimenti consentite, dal canto loro, dovranno fare attenzione a rispettare, tra i tanti vincoli, l’obbligo di «utilizzo di arredi minimali».

I profili di dubbia legittimità del regolamento sono molteplici, specie laddove le mode e le preferenze del momento o di una ideologia politica siano usate come criterio di selezione tra attività limitate e attività protette. Altri obblighi sono in realtà ridondanti rispetto a una regola generali della legislazione civile, consistente nei limiti delle cd. immissioni.

Sarebbe fin troppo semplice reagire a un regolamento come questo chiedendo alle amministrazioni comunali di occuparsi per bene della pulizia e delle buche delle strade, della potatura degli alberi e della raccolta dell’immondizia, prima che delle luci delle insegne.

Ma va rilevato come l’aspetto più paradossale è che il regolamento limita alcune tipologie commerciali, specie di tipo alimentare, a seguito di un apposito studio commissionato dal Comune secondo cui l’aumento dei locali di tipo alimentare «ha determinato un aumento del livello di pressione antropica» che va combattuto per la «sostenibilità ambientale del territorio». Il buon senso insegna che le attività commerciali rispondono a una domanda: se questa non c’è, i negozi prima o poi chiudono. Che siano quindi pizzerie al taglio e bar ad aver aumentato la presenza antropica sembra davvero illogico.

Anche così fosse, la scelta di limitare questi negozi per diminuire la pressione antropica come può essere coerente con la retorica politica prevalente anche a Roma, secondo cui le nostre città, per combattere le speculazioni edilizie, le attività inquinanti e gli altri spauracchi antindustriali in voga, dovrebbero vivere di solo turismo?