di Annamaria Testa
Gli italiani non si informano, e non lo fanno nemmeno su internet: sono infatti gli ultimi in Europa per la lettura di notizie online. La quale continua a decrescere di anno in anno, con ogni probabilità anche a causa dell’introduzione dei paywall (i sistemi che obbligano a pagare qualcosina per accedere a contenuti di qualità in rete).
A dire tutto questo è l’Ansa, citando l’ultimo rapporto della Commissione europea sullo sviluppo digitale. Il rapporto prende in esame diverse aree, ma quello che qui ci interessa è il capitolo 3 (pagina 8) che riguarda l’uso dei servizi internet.
Dunque: usiamo la rete più o meno in media con gli altri cittadini europei per cercare musica, video e giochi, per fare videochiamate e per frequentare i social network.
La usiamo meno degli altri per accedere ai servizi bancari o per comprare cose. La usiamo molto meno degli altri per leggere notizie. Del resto, per rendersi conto di tutto ciò basta fare un giro in metropolitana e sbirciare quanto appare sugli schermi degli onnipresenti telefoni.
Tutto ciò denota una decrescente attitudine a prendere contatto con i fatti e con i dati.
Ma, ormai è noto, non leggiamo notizie nemmeno sui quotidiani di carta, che negli ultimi dieci anni, secondo il Censis, hanno perso un quarto dei loro utenti, soltanto una minima frazione dei quali è passata alla lettura online.
Già che ci sono, ricordo che meno di un italiano su due (il 45,7 per cento) legge libri, e che per dichiararsi “lettore” basta aver aperto un singolo libro nell’arco di un anno, ricettari di cucina, guide turistiche e manuali di autoaiuto compresi.
Ho lo sconfortante sospetto che tutto ciò denoti una decrescente attitudine a prendere contatto con i fatti e con i dati, a far la fatica di selezionare e verificare le fonti e a prendersi l’ulteriore onere di ragionarci sopra applicando un minimo di pensiero critico.
Per carità: tutto ciò andrebbe anche bene, se contemporaneamente non decrescesse la fiducia riposta nelle istituzioni e negli attori che per ruolo o per professione dovrebbero, appunto, considerare ed elaborare fatti e dati per conto di chi non avesse la voglia, il tempo o la capacità di farlo.
Insomma: è come se pretendessimo di guadagnarci tutto il godimento, il brivido, la soddisfazione e il protagonismo connessi con la disintermediazione, senza accollarci l’obbligo di fare il lavoro in precedenza svolto da chi intermediava.
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